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Una discrepanza nel prezzo. Non di cifre astronomiche, si parla solo di qualche euro, roba da non farci nemmeno troppo caso. Può capitare di riscontrarla quando si acquista un cofanetto regalo Smartbox in un punto vendita autorizzato e poi si va a usufruire del servizio. E lì magari si scopre che i soldi sborsati in precedenza sono un po’ di più di quelli effettivamente previsti.

Supponiamo che il prezzo (ipotetico) del cofanetto comprato in un supermercato oppure in una catena di librerie (giusto per citare alcuni distributori) sia di 100 euro; quando l’acquirente (o in alternativa, la persona a cui viene regalato il cofanetto) decide di spenderlo, magari pernottando in un un hotel o recandosi in un centro benessere, può succedere che si trovi poi in mano uno scontrino da 95 euro. Perché questa differenza? E’ una domanda che si stanno ponendo da tempo alcuni operatori del settore e clienti, non del tutto convinti da come si comporta l’azienda italiana Smartbox & co srl, dietro alla quale si staglia una triangolazione societaria che porta dritto in Irlanda (dove si pagano meno tasse che da noi), su cui la Guardia di Finanza ha acceso i riflettori contestando un’evasione fiscale da quasi 120 milioni di euro.

PRANZO E PAUSA RELAX, I CONTI NON TORNANO

Due situazioni realmente verificatesi nell’autunno scorso, e quindi documentate, possono rendere meglio l’idea di questa discrepanza del prezzo. Un cofanetto Smartbox ribattezzato “Peccati di gola”, che consente di scegliere tra 1185 degustazioni o esperienze gastronomiche per 2 persone, viene acquistato per 29.90 euro (il prezzo pubblicizzato sul sito dell’azienda) in una libreria, che emette uno scontrino non fiscale per la “carta regalo” in quanto si tratta di un puro movimento finanziario, quindi non assoggettato all’Iva (così prevede l’articolo 2 del Dpr 633 del 1972). L’acquirente decide di spendere il cofanetto in una prosciutteria. Non deve sborsare alcun euro, è già tutto pagato tramite Smartbox. Deve solo gustare, insieme a un’altra persona, i favolosi prosciutti San Daniele di quel caratteristico locale. Riempita la pancia e assaggiato del buon vino, quando va alla cassa per pagare con il suo “buono”, gli viene restituita una fattura (in questo caso siamo in regime di Iva, in quanto c’è un servizio di cui si è usufruito) dove risulta un prezzo di 25 euro. Quindi 4,90 euro in meno rispetto al costo iniziale.

Cambia la tipologia di cofanetto, ma il copione rimane il medesimo. In un secondo e documentato caso, l’acquirente compra in una libreria il pacchetto “Pausa Relax” per due persone, che propone una vasta gamma di scelta tra 1300 massaggi, percorsi benessere e polisensoriali. Il prezzo di acquisto è di 59,90 euro. Peccato che, una volta trascorso il pomeriggio in un centro benessere, lo scontrino finale emesso sia di 55 euro; anche in questo caso, quindi, con 4,90 euro in meno. Singolare coincidenza? Chissà.

SENZA COINCIDENZA DEI PREZZI NON C’E’ TITOLO DI LEGITTIMAZIONE

Il problema sta tutto qui: si può parlare di multipurpose voucher (“buoni” venduti esenti da Iva in quanto manca lo scambio del servizio su cui grava l’imposta) soltanto quando il valore della prestazione e il valore del titolo di legittimazione coincidono (si veda la Risoluzione 21/E del 22 febbraio 2011dell’Agenzia delle Entrate). Solo, cioè, nel caso in cui la cifra pagata per acquistare il cofanetto nel punto vendita (libreria o supermercato) sia la stessa poi fatturata dal ristorante o al centro benessere nel quale ci si reca. Diversamente, si esce dal regime dei “buoni”.
Tornando al primo dei casi documentati, la degustazione in prosciutteria viene fatturata dal locale al prezzo di 25 euro ma il cofanetto acquistato con scontrino non fiscale è costato 29,90; significa che ci sono 4,90 euro su cui non è stata pagata l’Iva. E questo perché l’imposta sul valore aggiunto interviene solo quando c’è un servizio corrispettivo, e cioè – in quel caso – quando viene emessa la fattura della degustazione e non al momento della vendita del cofanetto all’interno del quale si può scegliere tra molte proposte differenti.

Da dove saltano fuori, quindi, quei 4,90 euro in più? Chi li aggiunge al valore della prestazione? E soprattutto, visto che vengono pagati dall’acquirente, chi li incassa? Il punto vendita o Smartbox? E ancora: si tratta di situazioni sporadiche oppure siamo davanti a un sistema più o meno consolidato per questa azienda? Magari qualche risposta esaustiva potrà arrivare da una ulteriore indagine della Guardia di Finanza oppure da approfondimenti dell’Agenzia delle Entrate di Roma, dove il fascicolo sulla società irlandese che controlla Smartbox giace ormai sulle scrivanie dall’agosto scorso.

Smartbox, tutti gli inghippi

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