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Nei suoi bombardamenti contro l’Isis, l’Egitto non è solo, almeno idealmente. Sono molti i Paesi che, per motivi differenti, sostengono dietro le quinte la politica interventista del Cairo, pur invocando il perseguimento di un’azione diplomatica affidata alle Nazioni Unite.

FRANCIA

Parigi, Londra, Mosca, Tel Aviv, Riyad: sono questi alcune delle capitali che non hanno partecipato ai raid, ma hanno reagito in maniera morbida alla rabbia egiziana, esplosa dopo il massacro dei cristiani copti. La Francia ha stabilito con l’Egitto un rapporto proficuo, che si è tradotto subito nei 24 caccia Rafale venduti al Cairo, mentre nelle stesse ore Washington (restìa ad elargire mezzi all’Egitto) dava secondo indiscrezioni non confermate ufficialmente (ma riportate da anche da alcuni giornali italiani, come Repubblica) il nulla osta all’operazione anti Isis in Libia.

Un interventismo caldeggiato da Yousef Al Otaiba, ambasciatore degli Emirati Arabi negli Usa dalle colonne di Politico.com, sottolineando l’urgenza di addestrare, equipaggiare e addestrare “gli stivali” sul terreno di guerra contro “il regime che impone il terrore”. Senza dimenticare però la cornice della coalizione di carattere internazionale come non manca di evidenziare Le Monde.

In un’intervista di Jean-Pierre Elkabbach ad Al Sisi, tradotta anche in Italia, il generale spiega: “Quattro mesi fa mi sono incontrato con il presidente francese e gli ho detto che occorreva prestare grande attenzione, che quanto stava accadendo in Libia avrebbe trasformato questo Paese in una minaccia terroristica per tutta la regione, non soltanto per l’Egitto, ma anche per il bacino del Mediterraneo e per l’Europa. È indispensabile pertanto affrontare il problema, perché la missione non è stata portata a termine dai nostri amici europei. Noi abbiamo abbandonato il popolo libico alla mercé delle milizie estremiste“, con riferimento proprio a Francia e Regno Unito.

ISRAELE

L’appoggio israeliano all’iniziativa egiziana si concretizza nel fare da diga contro le bande jihadiste annidate nel Sinai. Una posizione confermata da Naftali Bennett, attuale ministro dell’Economia e dei Servizi Religiosi, nonché leader del partito La Casa Ebraica, che in un video pubblicato sul Jerusalem Post parla ai suoi cittadini da una collina in Samaria. E sottolinea che Israele si trova ad affrontare tre minacce: Hezbollah a nord, lo Stato islamico a est e Hamas al sud. “Stiamo fermando il flusso dell’Islam radicale verso l’Europa”, ha affermato. “Quando combattiamo il terrorismo qui, stiamo proteggendo Londra, Parigi e Madrid”.

RUSSIA 

Il generale Al-Sisi e Vladimir Putin sono uniti da un profondo sentimento di anti-islamismo, ha osservato The Moscow Times a più riprese: è questa la base della nuova cooperazione tra un Egitto (secondo alcuni osservatori) orfano degli Usa e la Russia, che ha fornito una centrale nucleare che darà energia elettrica al Cairo, così come scritto da Bernardo Valli su Repubblica, “come l’Unione Sovietica la dette a Nasser con la diga di Assuan più di cinquant’anni fa“. Al-Sisi ha replicato definendo Mosca un interlocutore “amico”. Le mire di Putin sul Mediterraneo, a partire dal caso Libia e dalla reazione dell’Egitto, sono state analizzate su Formiche.net anche dall’editorialista Guido Salerno Aletta.

EMIRATI ARABI UNITI

Sostegno giunge al Cairo anche dagli Emirati Arabi Uniti, che già lo scorso anno dal suolo egiziano avevano effettuato raid aerei sulla Libia per contrastare l’avanzata delle milizie islamiche su Tripoli. Un affiancamento che si ritrova nelle parole di re Salman pronunciate in occasione del consiglio dei Ministri quando ha parlato di “viva condanna del crimine dell’Isis”. Anche Doha ha espresso la solidarietà del Qatar al popolo egiziano, al pari dell’emiro del Kuwait, Sabah al Ahmed Al Sabah, ma Qatar e Turchia nutrono sulla Libia interessi ben diversi, quasi opposti a quelli egiziani.

REGNO UNITO

Uno stimolo a intervenire viene ribadito dalle colonne del britannico Telegraph al primo ministro David Cameron, ricordando che era stato lo stesso inquilino di Downing Street ad avvertire, dopo l’invasione dell’Iraq, che bisognasse intervenire. Eppure la sua gestione della Libia sembra assomigliare a un tentativo di fare proprio il contrario della volta precedente. Per cui il quotidiano inglese, schierandosi con l’Egitto, parla apertamente di politica estera interventista che, nonostante – spiega – sia un concetto “fuori moda”, è la garanzia per la sicurezza di uno Stato. E osserva che quando giungerà il giorno in cui Cameron dovrà dimostrare una “leadership politica reale” vorrà dire che il Paese dovrà correre il rischio di portare le sue truppe sul terreno.

LE ANALISI

Una tesi, quella dell’interventismo, che prende corpo, così come osservato da queste colonne sia da Carlo Jean,  Vittorio Emanuele Parsi e Giulio Sapelli. Sul tema ha insistito anche l’ambasciatore Al Otaiba su Politico.com quando ha osservato che “non si tratta di una guerra tra musulmani e non musulmani o passato contro il presente, ma tra visioni molto diverse del mondo moderno”. Il riferimento, dice, è al fatto che gli estremisti immaginano un passato che “non è mai esistito e di un futuro che non accadrà mai”. E offre un assist proprio all’Egitto quando aggiunge che ci sarà bisogno dell’aiuto degli Stati Uniti e degli altri partner per vincere, ma non si potrà fare a meno di chi è presente in loco e che dovrà “guidare la strategia”.

Ecco chi sostiene l'Egitto contro l'Isis in Libia

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