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Il presidente del Consiglio guida sulle strade della politica infischiandosene delle precedenze. Non sa, poverino, o se lo sa, appunto se ne infischia, che quando s’incrociano più scadenze politiche, quella che porta o che viene dal Quirinale ha la precedenza assoluta. Lui non può rispondere, come ha invece fatto domenica in una intervista a La Repubblica e poi in tv, con un “non esiste”, variante del mussoliniano “me ne frego”, al problema sollevato il giorno prima da Silvio Berlusconi, in un colloquio con il Corriere della Sera, sui tempi ulteriormente e necessariamente dilazionati della nuova legge elettorale. Un problema di così evidente ragionevolezza da essere stato condiviso, proprio domenica su la Repubblica, dal fondatore Eugenio Scalfari. D’accordo anche l’editore Carlo De Benedetti, che ha parlato in televisione di situazione politica ormai “bloccata” dalla successione al vertice dello Stato.

Con la corsa al Quirinale aperta dopo l’annuncio delle vicine o persino imminenti dimissioni di Giorgio Napolitano, stanco e forse anche deluso del suo secondo mandato, sono cambiate le urgenze politiche. Esaurita entro l’anno per obbligo costituzionale la partita della cosiddetta legge di stabilità, ex finanziaria, e scampato probabilmente anche il pericolo di un’interruzione dell’accidentato percorso della legge delega per la riforma del mercato del lavoro, con la quale il governo si gioca la faccia nei rapporti con la commissione di Bruxelles e con la Banca Centrale Europea, il Parlamento non avrà materialmente e politicamente il tempo per occuparsi d’altro. Tanto meno dell’ancora controversa riforma della legge elettorale per la Camera, concordata solo nei titoli fra Renzi e Berlusconi, e già in odore, o puzza, di incostituzionalità prima ancora di essere approvata, a causa della mancata e lontana riforma costituzionale del Senato. Al cui rinnovo in caso di elezioni anticipate non si saprebbe come votare, vista la confusione che regna in materia fra i costituzionalisti e gli stessi giudici del Palazzo della Consulta, che hanno cassato parti importanti della legge ancora in vigore e significativamente chiamata “Porcellum”.

Di fronte ad una situazione talmente imbrogliata, è violazione di ogni regola di buon senso, oltre che di circolazione politica, pensare di potere snobbare la scadenza prioritaria del Quirinale e andare avanti comunque sulla strada della riforma elettorale, come se fosse veramente possibile arrivare alla meta finale, fra Senato e Camera, in poche settimane, se non addirittura in pochi giorni. Come vorrebbe, o finge di credere, Renzi quando liquida con tono ducesco il problema delle precedenze sollevato da Berlusconi e condiviso – ripeto – persino da Scalfari e da De Benedetti, che dell’ex Cavaliere non si possono certamente considerare estimatori.

Al Parlamento non resta ormai che attendere, rassegnato, la vicina formalizzazione delle dimissioni di Napolitano e apprestarsi alle procedure e alle improbe fatiche politiche della successione, se riuscirà a venirne davvero a capo con una soluzione degna di questo nome, e di un Paese serio. Cosa, questa, della quale purtroppo si ha, al momento, più di un motivo per dubitare, vista la confusione che regna dappertutto: a destra, a sinistra, al centro, sopra, sotto e dentro partiti, movimenti e quant’altro, forse nella stessa mente del presidente del Consiglio.  Che non a caso vuole passare col rosso ed esorcizza il problema fingendo di ignorarlo, anche davanti alla direzione del suo partito, con la scusa che Napolitano non ha ancora lasciato i suoi uffici al Quirinale e chiuse le porte a chiave, essendosi evidentemente limitato ad accomiatarsi dal Papa e a comunicare la sua indisponibliità a incontri e cerimonie propostegli per la seconda metà di gennaio.

Renzi sbanda sul Quirinale

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