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Come sarà il Foglio di Claudio Cerasa? Come cambierà rispetto a quello di Giuliano Ferrara? Questa è la domanda che si fanno i lettori del Foglio e i suoi simpatizzanti, molti dei quali nel mondo dei media e della carta stampata, davanti all’annuncio dell’abdicazione di Ferrara verso il suo giovane caporedattore. I due sono molto diversi, ma anche molto simili. Diversità dovuta dal fatto che naturalmente Cerasa non ha il retroterra culturale e storico di Ferrara. Che ha vissuto in prima persona, mettendoci la faccia, diverse stagioni politiche. Scandite dall’abbraccio, prima, e dall’abiura, poi, del comunismo, anche se in salsa italiana. C’è un Ferrara del Pci e un Ferrara post Pci. Poi è venuto il craxismo. E poi il berlusconismo.

Cerasa non ha niente di tutto ciò. Non ha vissuto gli anni 70, non ha vissuto il Pci, il pentapartito, il Psi e nemmeno Tangentopoli. Basti dire che, all’epoca della discesa in campo di Berlusconi, aveva 12 anni. Da questo punto di vista è un vero giornalista 2.0

I due la pensano allo stesso modo quasi su tutto. E’ vero, Cerasa, a differenza di Ferrara, vota Pd. Ma il Pd renziano potrebbe benissimo votarlo anche l’Elefantino. E comunque Cerasa è di sicuro fra le penne più apprezzate anche dal renzismo. E da un Pd che preferisce fare le riforme con il pragmatico ex Cav piuttosto che sedersi al tavolo a spaccare il capello in quattro con Bersani e Cuperlo. Cerasa ci ha scritto anche un libro su tutto ciò che tiene incatenata la sinistra ai vecchi schemi e quindi alla sconfitta. E infatti, Ferrara da “destra” e Cerasa da “sinistra” sono entusiasti del patto del Nazareno e considerano Renzi e Berlusconi “la coppia più bella del mondo”.

Liberali e liberisti, sono entrambi garantisti e anti-giustizialisti. Non sarà un caso che entrambi hanno battibeccato spesso e volentieri con Marco Travaglio e la truppa del Fatto quotidiano. Anche in politica estera viaggiano sugli stessi binari pro-Usa e anti-Islam (“siamo in guerra e se non l’avete capito siete un branco di coglioni”). Il terreno dove invece le sensibilità divergono è forse quello della religione e dei temi etici. Cerasa, infatti, da ex elettore della Rosa nel Pugno – come sottolineava tempo fa nel suo profilo Twitter – ha vissuto di riflesso la fase ratzingeriana del suo direttore. Non osteggiandola, ma senza farsene paladino. Anche se Cerasa condivise la campagna pro life nel 2008 con la lista “Aborto? No grazie” allestita da Ferrara, anche se Cerasa non era in lizza.

Del resto proprio questa è la forza del Foglio: Ferrara ha sempre preso con sé anche, e soprattutto, chi non la pensa come lui. Prova ne sia che una bella fetta dei suoi giornalisti è di sinistra o radical-pannelliana. Obiettivo: cercare di fare un giornale non banale.

Il primo effetto della gestione Cerasa, dunque, potrebbe essere quello di fare un giornale meno papista e meno barricadero sulle questioni etiche (come accadde, per esempio, per Eluana Englaro), ma l’influsso di Ferrara si farà comunque sentire.

La vera differenza tra i due, infatti, è nel carattere. E, di conseguenza, non sui temi ma nel modo di affrontarli. Se Ferrara, quando s’innamora di una battaglia, parte lancia in resta con tutte le energie fisiche e intellettuali, rischiando anche sonore sconfitte (ve lo ricordate al Mugello contro Di Pietro?), Cerasa ha un carattere morbido e felpato, allergico alla sconfitta. Capisce dove va la corrente e cerca di interpretarla, cavalcando l’onda. Un’onda, quella renziana, che magari potrà portare nuovi soci nell’azionariato del Foglio.

Il Foglio, ecco cosa (non) cambierà con la direzione di Claudio Cerasa

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