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Da ultime, le metafore popolari del “pugno” e del “coniglio” (contro chi offende la fede
altrui e procrea in modo irresponsabile): la figura del pontefice sta perdendo sempre più
la sua aura ieratica?

Se per aura – parafrasando Walter Benjamin – si intende quel carattere unico, inimitabile
e ineffabile che conferisce autorità al gesto e alla parola, i critici di papa Bergoglio forse
hanno ragione. Se, invece, il carattere seriale del gesto e della parola diventa un
efficace strumento per attirare l’attenzione delle masse, allora Francesco è uno
straordinario costruttore – perché non riconoscerlo? – di “captatio benevolentiae”, dei
credenti e dei non credenti.

Beninteso, se non piace la predicazione di una Chiesa missionaria e dei poveri, di una
Curia non vaticanocentrica, di uno Ior traparente, capisco che possano non piacere il
suo look dimesso e il suo stile comunicativo holliwoodiano, i suoi baci strabordanti a
bambini e disabili, il “chi sono io per giudicare” gay e divorziati, il suo paternalismo
bonario per atei e miscredenti, il suo populismo misericordioso nelle favelas di Rio e di
Manila o nelle acque di Lampedusa.

Ma non è questo il punto. Occorre considerare, infatti, il contesto teologico e
ecclesiologico in cui in cui si collocano le scelte anche simboliche di questo Papa.
Perché è del tutto evidente che, di fronte alle lunghe e incontestabili sofferenze di
un’istituzione apparsa fin troppo subordinata alle logiche mondane e del potere
temporale, una cesura con il passato era necessaria.

A mio avviso, il vero ideatore ed esecutore di tale cesura è tuttavia stato, con il suo
“gran rifiuto”, Benedetto XVI. Giorgio Agamben ha descritto da par suo le ragioni che
stannno alla base della scelta di Joseph Ratzinger in un esemplare libretto, “Il mistero
del male“, (Laterza, 2013).

Qui mi limito a menzionare quella per lui cruciale, secondo cui l’abdicazione di
Benedetto XVI è stata una decisione dirompente per la vita storica della Chiesa, la
quale è insieme “fusca” (nera) e “decora” (bella”), racchiude in sé tanto il peccato che la
grazia. Se si finge di ignorare, come spesso ha fatto la Chiesa, la realtà di questo corpo
bipartito, la Chiesa “fusca” finisce per prevalere su quella “decora”.

Papa Francesco ha fin qui dato prova di non voler ignorare tale realtà. È un merito del
suo pontificato che non si può sottacere, anche se le sue metafore talvolta possono far
storcere il naso a qualcuno.

Le metafore di Papa Francesco

Da ultime, le metafore popolari del "pugno" e del "coniglio" (contro chi offende la fede altrui e procrea in modo irresponsabile): la figura del pontefice sta perdendo sempre più la sua aura ieratica? Se per aura - parafrasando Walter Benjamin - si intende quel carattere unico, inimitabile e ineffabile che conferisce autorità al gesto e alla parola, i critici di…

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