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Venerdì 18 marzo 2011 ore 8.00 circa, base di Ghedi, Brescia, sede del 6° Stormo, Tornado training center. Un pilota, Umberto, e due navigatori, Marco e Gianluca, del 50° Stormo di Piacenza stanno per iniziare il loro turno di addestramento periodico necessario per mantenere le abilitazioni previste dal loro profilo d’impiego.

Marco è arrivato a Ghedi dopo aver trascorso il giorno precedente a casa, con la famiglia, in una città dell’Emilia, partecipando ai festeggiamenti per l’Unità d’Italia organizzati nel suo paese d’origine. Il simulatore sta dando qualche problema di settaggio e quindi l’attività prevista stenta ad avviarsi… non si avvierà mai, almeno per quel giorno.

Squilla il telefono di Gianluca che risponde a monosillabi e Marco vede improvvisamente l’espressione del volto del collega farsi seria e preoccupata: “Andiamo a casa a fare le valige, si parte… ”.

I tre si guardano in faccia e per un attimo l’atmosfera è tra il grave e il grottesco, con Gianluca che non dice nulla di più e gli altri due che vogliono avere almeno qualche dettaglio. La notizia attesa ma non sperata era quindi giunta. In realtà Marco e gli altri se l’aspettavano, non potevano essere sorpresi… eppure quella era una di quelle notizie per le quali non si è mai pronti.

Il rientro in macchina verso Piacenza è servito per capire non tanto di più sui contorni della missione, ma almeno i tempi e i modi: “Si va a Trapani, partenza immediata. Per oggi pomeriggio è stato organizzato il trasporto (un C-130J della 46^ Brigata Aerea di Pisa, ndr) e poi, man mano che i velivoli vengono configurati si scende alla spicciolata, domenica dobbiamo essere pronti per operare”.

Arrivati in base i tre si presentano dal comandante di Stormo mentre l’aeroporto è in pieno fermento: “Andate a preparare la vostra roba e tornate immediatamente. Marco devi essere rapidissimo perché mi servi qui per le operazioni di carico del C-130J e poi domani sarai uno dei primi a partire”.

Il problema non trascurabile, ora, è informare casa dicendo il minimo indispensabile e tentare allo stesso tempo di non allarmarli. Bell’affare! Ma come si fa a dire a un padre, una madre, a una moglie che si sta partendo per qualcosa di rischioso, del quale hanno non solo la percezione ma anche l’informazione in tempo reale dai media più disparati, e che non si sa quando si potrà tornare, ma che comunque non si devono preoccupare? Per fortuna le famiglie sanno affrontare anche queste evenienze, e in questi casi non fanno domande, si accontentano del poco che è permesso dire. Erano questi i pensieri che affollavano la mente di Marco mentre velocemente andava dai suoi per preparare i bagagli.

I genitori di Marco abitano al piano di sopra, la moglie è ancora al lavoro, ma tornerà di lì a poco dopo aver preso il bambino all’asilo. “Bene, cominciamo dalle combinazioni di volo. Credo che non indosserò molto altro di diverso. Eccole. Ah, bisogna sistemarle per l’evenienza. È necessario l’intervento di mia madre!”.

La signora Anna, una donna giovanile e molto attiva accoglie il figlio in modo più affettuoso del solito, non fa domande specifiche. “Mamma, papà ti avrà detto che devo partire. Mi devi fare un favore, dovresti togliermi tutti i distintivi dalle tute, tutti i velcri, e lasciare solo il Tricolore sul braccio sinistro. Ripasso tra mezz’ora per salutarvi”. “Scusa Marco, ma perché?”. “Mamma, bisogna fare così… daiii”.

Quando scende al piano di sotto Marco trova Lucia, la moglie, e il piccolo Pietro appena rientrati. Le emozioni sono forti. “Allora partite”. Marco ha il bambino in braccio. L’atmosfera è densa. “Eh, sì. Era inevitabile. Per adesso ci rischieriamo a sud. Poi vediamo. Ma non ti preoccupare. Non credere a quello che sentirai in televisione. Sai, loro devono fare ascolti, hanno bisogno di spettacolarizzare tutto. La realtà è molto diversa da come la raccontano i giornalisti. Ti chiamo io, e non ti allarmare se non mi senti per lunghi periodi, anche se cercherò di fare in modo… Mi raccomando, non parlare con nessuno, se ti telefonano, ti fermano per strada e chiedono, anche agli amici, non dire nulla”.

“Cosa posso dire? Non mi hai detto niente!”. “Lucia, lo sai, è così. È il mio lavoro”.
Marco, rientra al Reparto, a Piacenza per le 15, accompagnato da Lucia e dal papà Silvano, la signora Anna è rimasta a casa con Pietro. Il tragitto in automobile non è lungo, sono invece interminabili i silenzi che lo accompagnano. Ecco l’ingresso della base, è il momento dei saluti e Marco vede per la prima volta nella sua vita inumidirsi gli occhi del padre.

Dentro, la macchina gira a pieno regime e lui è parte del meccanismo. C’è molto da fare, entro la giornata del sabato il Gruppo deve essere a Trapani. E così sarà. Sabato 19 marzo, base di Trapani, sede del 37° Stormo e dell’82° Centro combat search and rescue (Csar). Sera. La cellula del 155° Gruppo è come previsto sull’aeroporto siciliano, nell’incertezza più totale, ma non è indice d’improvvisazione, vi è solo una voluta e opportuna assenza di comunicazioni. Si ha notizia dell’inizio delle operazioni, ma le informazioni più specifiche, quelle necessarie, stentano a venire. La situazione si sblocca intorno alle 2 della domenica. A quell’ora si ha la certezza di essere della “partita”. La mattina si sarebbe saputo anche il “quando”, il “come” e il “chi”.

Domenica 20 marzo, sala convegno dell’82° Centro Sar. Il comandante del 155° Gruppo convoca il personale e comunica la prima missione e l’equipaggio che la svolgerà. La tensione è alta. Tocca a Marco e a Umberto. Non c’è più spazio per le emozioni o le sensazioni, da quel momento solo concentrazione totale, assoluta, sulla pianificazione della missione. Marco e Umberto sono accompagnati da un’unica impressione: che il tempo scorra improvvisamente più veloce, che “un’ora passi in dieci minuti”. Devono essere scrupolosi e rapidi. In quel momento così difficile e concitato, il Gruppo, il Gruppo di volo, dimostra tutta la sua natura più autentica di squadra unita, cementata. Tutti collaborano per aiutare Marco e Umberto a lanciare quella prima difficile missione piena, nonostante tutto, d’incognite e di assolute novità. Come la pressione mediatica a cui sono sottoposti. Si sa, nelle guerre moderne i giornalisti svolgono un ruolo fondamentale e possono incidere in modo determinante sugli esiti di un’operazione militare, lo si studia sui banchi di scuola, ma vivere con loro, gomito a gomito nel pieno di una guerra aerea… non è facile o così comune.

“Il Tornado diventa sempre più grande man mano che mi avvicino. Gli specialisti si muovono rapidi, precisi. C’è una certa solennità nel loro agire”. Squilla il telefono è un compagno di corso di Marco in servizio al 6° Stormo di Ghedi: Roberto, sto andando”. “In bocca al lupo, Fritz!”. “Ok, ci siamo. Si decolla. Ora si balla”. “Ma dov’eri. Ti ho telefonato cento volte… ”.Eh, l’ho visto. Non ti avevo detto che ti avrei chiamato io?”. “ho visto i Tornado decollare… in televisione. Eri tu?”. “Lucia, stammi bene a sentire: tutto bene, tutto bene. Ci sentiamo più tardi ma niente domande… capito? Tutto bene… ”.

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