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Siamo all’inizio di un anno politico turbinoso. Il nodo del Quirinale, dopo il pratico annuncio di Giorgio Napolitano, ormai è all’ordine del giorno, mentre il Patto del Nazareno subisce la scossa della riforma fiscale.

È molto difficile fare un bilancio di previsione. È molto difficile soprattutto perché le incognite sono tantissime, e, cosa per nulla trascurabile, il Paese è tormentato dall’acuirsi sensibile dei conflitti sociali, i quali si traducono oggi in un possibile ritorno alla violenza estremistica.

Questo è un primo punto importante per comprendere la vera novità politica del 2015, che si minaccia come una replica lugubremente originale degli anni ’70, il cui baricentro è Lega di Matteo Salvini. Rispetto, infatti, al Movimento Cinque Stelle, la crescita di consenso e il radicamento sociale degli ex lumbard si spiegano con la maggiore capacità e concretezza politica di questi rispetto a quelli. I Grillini esprimono un’iniziativa civica di protesta senza reale volontà politica. Salvini è un politico a tutto tondo, con tanto di collegamenti internazionali, radicamento ideologico e volontà di occupare posti di potere. Grillo sta a Salvini come il raffreddore da fieno all’influenza. Si tratta comunque della potente estrinsecazione del medesimo modo anti istituzionale di concepire l’uscita dalle secche paludose di questa Italia.

Un ragionamento politologico sulla nuova Lega è perciò essenziale, anzi direi urgente. Il programma presentato alle recenti elezioni europee, leggibile sul web, non è banale; come non è banale neanche quello dei cugini più prossimi francesi del Fronte Nazionale. La parola che emerge con maggiore vigore è l’aggettivo ”nostri”: i nostri interessi, le nostre imprese, i nostri confini, ovviamente i nostri operai, e così via.

Salvini ha dalla sua il fatto di essere molto efficace dal punto di vista comunicativo e quello ancor più rilevante di orientarsi secondo dei parametri standard, come si diceva un tempo, tipici della destra senza centro. Carlo Galli spiegherebbe, probabilmente, che abbiamo davanti una destra che capitalizza volentieri il fallimento organico delle riforme razionali e gradualiste del sistema democratico a tutto vantaggio del caos dinamico di una società risentita.

I cardini sono il giocare su sentimenti anti europei, sull’insicurezza che comporta la mala gestione dell’immigrazione clandestina, il bisogno di protezione, restando fuori da ogni accordo che ormai sembra palesare il patto nazareno tra Renzi e Berlusconi.

La realtà salviniana è pertanto seria. Ogni accadimento, ogni possibile gioco sotto il tavolo, ma anche ogni episodio di violenza che dovesse emergere giocheranno a favore di un populismo divenuto ormai un sentimento diffuso nel Paese, non bisognoso di dialogo con gli altri.

Non c’è molto di più da dire per ora sulla Lega. Il ragionamento diviene invece estremamente aperto se ci poniamo nella prospettiva ‘popolare’, ossia in quella che, teoricamente, dovrebbe essere l’area di consenso coperta da Forza Italia e dai centristi. Norberto Bobbio, ma a suo modo anche Marco Revelli, direbbero che la distinzione tra queste due visioni sta nel diverso modo di concepire il diniego per ogni prospettiva egualitaria di centrosinistra. Mentre, tuttavia, la Lega punta ad associare l’alternativa nei termini di una radicalizzazione autoritaria, il centrodestra dovrebbe declinarla in modo liberale.

Il punto è che Salvini fa il suo mestiere a destra, mentre il centrodestra non fa il suo, rarefatto nei miasmi di interessi personali e di debolezze individuali, senza leadership propria e con scarsa consapevolezza culturale. La specificità liberale del popolarismo non sta, in realtà, nella finta moderazione ambigua e tanto meno nell’attendere una guida che non c’è, ma nella capacità di condividere con la destra alcuni principi, per coniugarli poi nel seno di un’idea tollerante e democratica di società, stemperando la logica identitaria della destra.

Non è intelligente, per contro, subire l’incedere ideologico di Salvini spingendosi in un paesaggio politico estraneo ai propri valori com’è quello della socialdemocrazia renziana. Facendo così qualsiasi elettore moderato finirà per votare la Lega o non votare per niente. Bisognerebbe, semmai, lavorare al rafforzamento ideologico del centrodestra, iniziando a guardare quel ‘nostro’ su cui fa leva Salvini e facendolo diventare l’asse comunitario di partenza muovendo dal quale si è in condizione di tutelare i diritti di tutti, salvaguardare il nostro stare in Europa, permettere al Paese di crescere e di non chiudersi in una prospettiva fine a se stessa, nonché di ragionare in senso occidentale e non orientale, in senso pluralista e non monocratico.

Difficile, certo, ma non impossibile.

È chiaro che Salvini ha ragione nelle premesse, ma queste devono essere ‘urbanizzate’ e collegate a una idea non esclusiva e ottusa di rivendicazione del proprio esserci. Salvaguardare i nostri interessi nazionali, riscoprire i diritti storici, guadagnati nel tempo da generazioni, che hanno i cittadini italiani rispetto ai gentili ospiti che riempiono le nostre coste, non significa per nulla prendere a calci nel sedere i meno fortunati. Vuol dire piuttosto creare quelle condizioni di identità comunitaria e di gerarchia di priorità che sole rendono possibile la solidarietà, la libertà individuale e la crescita economica del Paese.

Salvini rappresenta, quindi, con le sua potente ambiguità, un’occasione per il centrodestra, e non un pericolo da cui fuggire buttandosi nelle braccia del PD.

Quando l’anno diventerà turbinoso, in definitiva, o vi sarà un forte centrodestra conservatore e liberale, oppure dovremo scegliere tra la Lega, da un lato, e la violenza disperata, dall’altro. E Salvini avrà vinto la partita che da tempo rende la sinistra egemone e la Repubblica irriformabile.

Pregi e difetti del programma di Matteo Salvini

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