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Siamo entrati ormai nella fase clou del renzismo. Non ci vuole di essere storici per capirlo. Dopo la lenta incubazione fiorentina e dopo la rapida ascesa a Palazzo Chigi, il 2015 sarà per il presidente del Consiglio l’anno della verità. La sua manovra economica dovrà dimostrare di sortire effetti positivi, le relazioni con l’Europa di trovare riscontri, l’Expo di funzionare a pennello, eccetera eccetera.

In giro si sente dappertutto la crescita di consenso per Renzi, e anche i mercati finanziari paiono guardare con tenue speranza ai grandi propositi e alle minime riforme annunciate dal Governo. La vera questione è sapere, però, se l’Italia ce la farà davvero. Non è pura retorica, perché l’attenzione di tutti nei nostri riguardi è alta e vigile, e il crinale che stiamo percorrendo veramente sottile.
La risposta all’interrogativo Paese ha una risposta politica, la quale forse non è la più importante, altre cose meno percepibili lo sono di più, come gli investimenti e i consumi, ma essa è l’unica su cui un popolo sovrano dovrebbe credere davvero. Noi abbiamo avuto vent’anni anomali, a causa di un leader fortissimo, Silvio Berlusconi, e di una sinistra massimalista e antica. Oggi abbiamo un nuovo leader fortissimo, Matteo Renzi, ma si constata nuovamente la mancanza di una competitiva e tangibile alternativa di centrodestra.

Una democrazia normale non può vivere solo di leadership personali a senso unico. Ci vogliono anche piattaforme elettorali bipolari, fossero pure frazionate al proprio interno, e almeno un’ipotesi di avvicendamento al potere. Perciò è tanto importante che il centrodestra non finisca fagocitato da Renzi o, peggio ancora, sbranato dal disimpegno elettorale.
La percezione di questo problema e la posizione giusta per risolverlo sembra averla di nuovo in mente soltanto una persona: Silvio Berlusconi. Potrà spiacere ad alcuni, ma è così.
In tal senso la sua intervista su Oggi, in edicola questa settimana, è particolarmente eloquente, anzi direi dirompente, comunque la si pensi. In primo luogo perché il presidente di Forza Italia, sebbene abbia stabilito un’ambivalente collaborazione con Renzi per le riforme, presenta subito una linea diversa per uscire dallo stallo: più consumi, più produzione e più posti di lavoro.

Bene, ma questo non è già quanto sta facendo il Governo? In realtà, proprio per niente. Nonostante, infatti, sia stata enfatizzata una mossa di apparente defiscalizzazione, il taglio alle tasse è per ora soltanto un fuoco di artificio. Quello che si dà con una mano si toglie con l’altra. Come ho avuto modo di dire a Milano al convegno Sveglia Centrodestra, il limite lineare di spesa imposto alle Regioni è particolarmente eloquente per cogliere il trucco del mestiere. Lo Stato riduce e poi scarica sulle amministrazioni locali la responsabilità di aumentare la pressione fiscale, magari elevando le aliquote o riducendo servizi essenziali, come la sanità, in alcune zone della penisola dove sono molto efficienti. Al cittadino chi ci pensa?

Secondo Berlusconi questo disinteresse si perpetra perché la sinistra le tasse ce le ha nel DNA. Laddove occorrerebbe aiutare le famiglie e le imprese, vengono livellati invece i diritti selettivi, ampliando e implementando l’assistenzialismo. Se i soldi sono pochi e le aziende chiudono, si deve scegliere, viceversa, il capitale e la produzione, non il sussidio di Stato o i diritti secondari.
L’aspetto più stimolante di questo intervento intelligente di Berlusconi è tuttavia la parte conclusiva dell’intervista. Renzi è bravo, egli dice, ma sono i presupposti dell’ideologia socialdemocratica e socialista del suo partito che proprio non vanno bene, come si vede anche a livello internazionale. La parola chiave per il centrodestra deve essere pertanto unità: unità perduta e unità da ritrovare, comunque da costruire contro il tassa e spendi.

Per Berlusconi tutto ciò sembra quasi un sogno o una follia, ma per l’Italia avere un’aggregazione moderata compatta è una condizione necessaria per rendersi credibile nel mondo e scongiurare astensionismo, disimpegno e mancanza di slancio.
Ora, io credo che bisognerebbe aggrapparsi al volo a questa giusta esortazione, aprendo dei tavoli di lavoro e di discussione, concretizzando la sfida aperta da Berlusconi in un programma di idee compatte, sorrette da valori precisi, inequivocabilmente popolari, che sfruttasse a pieno questo peculiare periodo di opposizione tenue e pseudo governativa per raccogliere e aggregare persone e interessi.

Se Forza Italia, d’altronde, si riconosce fedelmente nelle parole del suo leader, perché non dà subito seguito a questa iniziativa aprendo, ad esempio, per il 2015 una costituente del centrodestra e magari facendo partecipare anche chi pensa e non solo chi è bravo a comunicare?
Nella fase clou del renzismo, insomma, il centrodestra ha una sola strada aperta: recuperare la propria unità politica con idee e valori riconoscibili che diano entusiasmo, energia e slancio ai propri elettori, affinché si coaguli pesto e bene un’opposizione in grado nel presente di collaborare con il Governo e nel futuro di mettere in atto un proprio programma.

Berlusconi, quando parte la Costituente del centrodestra?

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