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Il dado è tratto, dunque. Forse. Matteo Renzi medita di approvare per decreto la rottamazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Quindi niente più reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti ma solo un indennizzo economico.

Il premier passerà dalle parole, anzi dai rumors, ai fatti? Vedremo. Ma già l’intenzione evocata più o meno esplicitamente dal segretario del Pd è foriera di effetti e di alcune considerazioni, oltre a delineare un presidente del Consiglio sempre più “berlusconiano”

Minacciando un decreto per cancellare l’articolo 18, Renzi lancia la sfida finale alla sinistra sindacale e conservatrice che si aggrappa allo Statuto dei lavoratori per cercare di avere ancora una identità e una funzione nel mondo del lavoro privato, dove cola a picco da anni.

Nel contempo, dopo aver da settimane svillaneggiato con diverse gradazioni i diktat formali e informali che arrivano da Bruxelles, Berlino e soprattutto da Francoforte (ovvero dalla Bce presieduta da Mario Draghi), ora Renzi si accuccia davanti a Draghi, anche se poi bofonchia di fare una riforma comunque di sinistra, annunciando più o meno esplicitamente che rafforzerà gli ammortizzatori sociali. Impegno peraltro già previsto dalla legge Fornero, che dal prossimo anno ha stabilito che si dovrà superare la cassa integrazione, ad esempio.

Se la sfida di Renzi sull’articolo 18 può essere considerata mortale per la sinistra tradizionale, è esiziale per il centrodestra. Da anni, anzi da decenni, praticamente dalla fondazione di Forza Italia, l’abolizione dell’articolo 18 viene evocata e sbandierata senza alcun effetto reale: eppure il centrodestra ha avuto anni a disposizione quando era in maggioranza e al governo per poter riformare le regole dei licenziamenti e non l’ha fatto. Ci voleva un premier del Pd, evidentemente, perché i leader moderati non sono stati capaci.

Alla fine, il decreto minacciato non si è palesato. E’ stato presentato un emendamento, concordato tra le forze della maggioranza di governo, che prevede il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, quindi intervenendo anche sull’articolo 18 ma in un modo che con tutta probabilità potrà andar bene sia a Maurizio Sacconi (Ncd), sia a Pietro Ichino (Ccelta Civica), sia a Cesare Damiano (Pd, paladino da anni di un contratto unico a tempo indeterminato di inserimento…). Ecco, a questo proposito, il commento di uno che sa di cosa parla: Giuliano Cazzola.

Tutto da approfondire, comunque, il reale impatto della rottamazione dell’articolo 18 sull’occupazione e la crescita. Ci torneremo.

Nel frattempo, da settimane, Formiche.net ha dedicato a questo tema approfondimenti, commenti, analisi e interviste che qui sintetizziamo.

Michele Tiraboschi analizza i reali effetti di una eventuale abolizione dell’articolo 18: Renzi ha già vinto la prova di forza contro i sindacati, dice il giuslavorista allievo di Marco Biagi

Perché Renzi non può non rottamare l’articolo 18. L’analisi di Stefano Cingolani

Che cosa penso dell’articolo 18 e non solo. L’analisi di Alessandra Servidori

Silvia Spattini (centro studi Adapt) spiega il modello tedesco sul lavoro che l’Italia vuole emulare

Vi spiego perché l’articolo 18 non difende i lavoratori. Il commento di Pierluigi Magnaschi

Fernando Liuzzi ricostruisce genesi, portata ed effetti reali dell’articolo 18

Vi spiego come funziona il mercato tedesco del lavoro. Parla Angelo Bolaffi

Articolo 18: totem, tabù e bufale. Il corsivo di Michele Arnese

Vi spiego perché l’articolo 18 non interessa a noi piccole imprese. L’intervento di Longobardi (Unimpresa)

Articolo 18, vieni avanti decretino

Il dado è tratto, dunque. Forse. Matteo Renzi medita di approvare per decreto la rottamazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Quindi niente più reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa nelle aziende con più di 15 dipendenti ma solo un indennizzo economico. Il premier passerà dalle parole, anzi dai rumors, ai fatti? Vedremo. Ma già l'intenzione evocata più…

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