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I dati pubblicati dall’Istat sulle esportazioni regionali nei primi sei mesi dell’anno – che vedono la Puglia al primo posto in Italia per il loro tasso di crescita pari al 9,4% rispetto allo stesso periodo del 2013 – meritano a nostro avviso alcune riflessioni aggiuntive rispetto a quelle numerose e autorevoli già formulate sui numeri appena sono stati comunicati. Le riassumo per punti:

1) il sistema industriale manifatturiero ed estrattivo regionale, grazie all’incremento di vendite all’estero registrato nel 1° semestre ha mostrato ancora una volta una persistente capacità reattiva alle dinamiche congiunturali che l’investono, confermando così il suo ruolo di motore trainante dell’economia pugliese. Lo scorso anno la flessione del 10, – dopo 3 anni di crescita costante – aveva indotto qualche osservatore a ritenere ormai avviata una fase di declino di quell’apparato, anche alla luce delle vicende del siderurgico di Taranto, la cui flessione aveva inciso in misura significativa sull’export provinciale e regionale. Ma nel primo semestre del 2014 è stata proprio la forte crescita dell’export di ‘metalli e di prodotti in metallo’ dell’Ilva a dimostrare – qualora ve ne fosse ancora bisogno – che un Siderurgico restituito sia pure fra tante difficoltà ad un assetto di marcia continuativo è ancora in grado di competere sui mercati internazionali con altri big player del comparto, con buona pace di coloro che, ritenendolo obsoleto, lo vorrebbero dismettere con effetti catastrofici per l’economia locale e regionale e con danni incalcolabili per l’industria meccanica italiana; e come spiegare altrimenti l’interesse dimostrato da gruppi esteri al suo acquisto ?

2) si stanno ulteriormente rafforzando le esportazioni dei settori aerospaziali e dell’automotive, grazie alla presenza di gruppi come Alenia Aermacchi, Bosch, Getrag, Magneti Marelli, confermando in tal modo la validità delle scelte compiute dalla Regione di sostenerne gli investimenti con i contratti di programma e smentendo così le affermazioni di tutti coloro – come ad esempio Nicola Rossi – i quali continuano a ritenere ininfluenti quando non addirittura dannosi quegli strumenti di incentivazione;

3) mantengono o migliorano le posizioni tante Pmi locali dei comparti agroalimentari, del tac e della meccanica, (Casillo, Divella, Granoro, Leone De Castris, Cantele, Cofra, Mafrat, Indeco) a dimostrazione che esiste ormai da tempo in Puglia, e si è andato consolidando negli anni, un forte nucleo di imprese export oriented con prodotti competitivi che – nonostante la durissima recessione dell’ultimo quinquennio – sono stati innovati, qualificati tecnologicamente, arricchiti nel gusto e nel design (soprattutto nel comparto moda) e venduti con forme di commercializzazione più agguerrite;

4) incominciano ad affacciarsi su alcuni mercati alcune imprese impiantistiche di medie dimensioni (Comes, Leucci Costruzioni, Modomec, Stoma Group, Serveco) che, nate e vissute a lungo grazie alla domanda dei grandi stabilimenti siderurgici, chimici ed energetici di Taranto e Brindisi, si cimentano con successo su aree come il Brasile, la Russia e l’India, vendendovi beni e servizi per raffinerie, pozzi petroliferi e acciaierie. E’ un processo ancora agli inizi che dovrà sperabilmente consolidarsi nei prossimi anni, ma la direzione di marcia intrapresa è quella giusta;

5) i bacini estrattivi di Apricena e Poggio Imperiale nel Foggiano e Cursi nel Salento sono ormai diventati con le loro cave e le aziende di lavorazione fornitori di compratori esteri esigenti, superando così il ruolo assolto per decenni di produttori di materiali litici destinati solo a mercati locali o al massimo regionali;

6) una domanda infine agli amici della Svimez: ma vi sembra parte di un deserto industriale meridionale, o in procinto di diventarlo, un territorio come quello pugliese che nel triennio 2010-2012 ha visto crescere le sue esportazioni del 27% e che si sta riprendendo in misura sostenuta dalla flessione causata dalle vicende dell’Ilva del 2013?

Certo, le quantità di merci collocate sui mercati esteri dall’apparato produttivo pugliese – pari al 2% dell’export nazionale, includendovi i beni agricoli – non sono ancora all’altezza delle sue enormi potenzialità che potrebbero dispiegarsi con un maggior numero di reti di imprese, consorzi all’esportazione, politiche di penetrazione commerciale più aggressive con personale qualificato, e con un più intenso lavoro promozionale delle stesse Associazioni di categoria. Non ci stancheremo di ripeterlo sino alla noia: se non ci si aggrega, se non si vuole o non si riesce più, o ancora, a fare sistema i risultati conseguibili dalle industrie pugliesi, per quanto apprezzabili, non saranno mai quelli largamente possibili. Le sfide da affrontare sin dai prossimi mesi saranno sempre più dure, come dimostrano anche gli effetti sul sistema pugliese delle sanzioni di Usa e Ue nei confronti della Russia di Putin, o le drammatiche vicende in Libia, tradizionale mercato di sbocco in Nord Africa di alcuni nostri prodotti. Ma non c’è tempo per piangersi addosso, dovendosi aprire nuove aree di sbocco, individuandovi buyer diversi dal passato, nuovi consumatori dei nostri beni, e aprendo o ampliando sedi commerciali all’estero.

Vorranno allora i nostri capitani coraggiosi fare in modo che nel giro di qualche anno il 2% pugliese dell’export nazionale si raddoppi, non solo grazie ai grandi gruppi, ma anche alla costanza e intraprendenza degli imprenditori locali?

Federico Pirro

Università di Bari – Centro Studi Confindustria Puglia

produzione industriale

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