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“Gli americani sono un popolo che ancora vive nel Far West, dove ci si fa giustizia con la pistola o con il linciaggio pubblico, si torturano i prigionieri per farli parlare, è legittimo l’assassinio di stato e c’è la pena di morte, abolita in tutti gli altri paesi civili. Gli Stati Uniti fanno la guerra contro popoli e paesi poveri travestendo gli interessi delle loro multinazionali con formule come l’esportazione della democrazia, non rispettano la carta delle Nazioni Unite, quindi non hanno diritto di sedere nel consiglio di sicurezza dell’ONU”.

Che succederebbe se il Corriere della Sera, dopo le rivelazioni sulla Cia, Abu Ghraib e Guantanamo, pubblicasse in prima pagina una corrispondenza del genere? Io che ho lavorato negli Stati Uniti per quel giornale vi posso assicurare che come minimo interverrebbe il Dipartimento di Stato coni tanto di denuncia per diffamazione a mezzo stampa. Ero a New York quando venne arrestato John Gotti l’ultimo boss della famiglia Genovese chiamato Teflon Don, perché nessun misfatto gli restava (chissà perché?) attaccato addosso. Aveva inquinato per decenni la città, ma non mi è mai venuto in mente di scrivere banalità come “la Grande mela marcia” o che i politici newyorchesi erano al soldo di Cosa nostra e i poliziotti tutti corrotti e spacciatori.

Ebbene oggi l’International New York Times pubblica in prima pagina un articolo firmato da Elisabetta Povoledo, una signora di mezza età dall’aria paciosa, nel quale, a proposito dell’inchiesta Mondo di mezzo, viene scritto: “Persino un paese dove la corruzione è data per scontata come parte della vita quotidiana, le rivelazioni hanno meravigliato i cittadini”. E ancora: “L’inchiesta ricorda che virtualmente nessun angolo dell’Italia è immune dalla penetrazione criminale”. Ma non basta ancora: l’indagine della magistratura solleva nuovi interrogativi “sulla capacità dell’Italia di riformare se stessa e rispettare le richieste di responsabilità fiscale chieste dai suoi partner dell’eurozona”. Infatti, “la corruzione diffusa e senza controllo del denaro pubblico rivelata dall’inchiesta è un esempio della situazione che ha portato il debito dell’Italia a uno dei livelli più alti d’Europa”.

Si può continuare con questa collezione di luoghi comuni, tra le più viete, meschine e ottuse che si siano lette sulla stampa italiana o straniera. Certo, la signora Povoledo, nata in Canada, ha un master in storia dell’arte preso all’università di Montreal, quindi non è una economista. Se la inviassero a Tokyo potrebbe scrivere che i giapponesi hanno accumulato un debito del 250% perché sono asserviti alla yakuza. Dunque, dovremmo perdonarla per le scempiaggini economiche anche se ne ha messe insieme davvero tante in poche righe. Eppure la signora Povoledo ha lavorato anche per la Rai, dunque un’azienda pubblica che, visti i buchi nel suo bilancio, ha contribuito anch’essa a far crescere il debito pubblico. Ma questi sono peccati veniali. Quel che invece è inaccettabile è sputare sentenze false inzeppate di pregiudizi.

E’ questo il giornalismo di Joseph Pulitzer e Walter Lippmann? Dov’è il controllo accurato delle fonti, la separazione tra fatti e opinioni, il racconto distaccato della realtà? Il New York Times attraversa un brutto periodo come tutta la carta stampata, ma davvero deve scendere così in basso per farsi notare? Parlate male di me purché ne parliate? Che ne dice Matteo Renzi il quale non perde tempo per rispondere alle critiche che gli sono rivolte, anche quando sono fondate?

Stefano Cingolani

Matteo Renzi non replica alla tiritera anti italiana del New York Times?

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