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In questi giorni siamo assaliti da notizie dure: bombe d’acqua, assassinii di bambini, le mani della mafia su Roma, scontri tra forze dell’ordine e operai. Così sta passando in sordina un evento che dovrebbe essere invece al centro dell’interesse di tutti: a Lima, dal 1 al 12 si tiene la Conferenza mondiale sul clima alla presenza delle delegazioni di 190 paesi impegnate a rilanciare il Protocollo di Kyoto scaduto nel dicembre 2012.

Si dovrà verificare l’effettiva volontà dei paesi a ridurre le emissioni dei gas serra evitando un aumento della temperatura di 2 gradi che comporterebbe il rischio dello scioglimento dei ghiacci perenni, l’innalzamento del livello dei mari e fenomeni catastrofici un po’ dappertutto sul pianeta. Obiettivo finale è la sigla di un nuovo protocollo previsto a Novembre 2015 a Parigi. Il problema non è semplice anche se le condizioni appaiono più favorevoli del passato grazie all’accordo tra Obama e Xi Jinping, leader dei due paesi che più contribuiscono all’inquinamento globale e sino ad oggi restii all’imposizione di ogni vincolo perché nocivo per i rispettivi interessi economici del proprio paese. L’Unione Europea da tempo attua una politica saggia ponendo molta attenzione alla riconversione della produzione di energia elettrica verso le energie rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica.

Tutto ben quindi? Mica tanto e per varie ragioni. Restano conflittuali gli interessi dei paesi sviluppati che hanno contribuito all’inquinamento da oltre un secolo e solo oggi si accorgono della situazione, dall’altro lato scalpitano i paesi in via di sviluppo e le economie emergenti più forti che hanno bisogno di svilupparsi rapidamente per essere competitivi e non guardano tanto per il sottile su come farlo. A Lima si dovrà concordare il quadro complessivo del nuovo strumento legale che tutti dovranno condividere cercando di contemperare esigenze e interessi differenti per arrivare a un accordo mondiale equo sulla gestione del cambiamento climatico; non ultimo sarà il nodo di come bloccare la deforestazione che, oltre a ridurre il ruolo di polmone del mondo produce anche oltre lo 8% delle emissioni totali.

Bisognerà operare rapidamente e con efficacia coinvolgendo tutti perché il cambiamento del clima non conosce frontiere, la natura non aspetta e si sta vendicando da tempo ogni giorno che passa.

Il problema resta comunque sempre lo stesso: prevarranno i colpi di fioretto tra i diplomatici pronti a tutto per salvaguardare gli interessi nazionali a scapito dell’interesse globale? O gli scienziati arriveranno a far comprendere che siamo su una china scivolosa dove aumenta quotidianamente il rischio di catastrofi sempre peggiori che i paesi pagano pesantemente in termini di danni economici e di vite umane? Kyoto non ha raggiunto i risultati previsti il che non aiuta l’ottimismo. Ancor meno depone a favore l’approccio organizzativo di queste conferenze. Il numero elevatissimo di delegati, i loro spostamenti tra aerei e mezzi terrestri per concentrarsi tutti in un unico luogo stanno producendo una quantità di inquinanti, in due settimane, pari alle emissioni annuali di una nazione di medie dimensioni come è già avvenuto nelle riunioni precedenti. Il vero messaggio di novità nell’era di internet sarebbe stato organizzare una riunione virtuale sfruttando i mezzi tecnologici attuali ma si è scelto diversamente.

Il 12 Dicembre sapremo se c’è un accordo credibile o se la montagna ha partorito il solito topolino e un documento rutilante di belle parole ma vuoto nella sostanza. L’Italia cerca di fare la sua parte forte della Presidenza europea. Nel frattempo speriamo che non piova di nuovo a dirotto aspettando un intervento di riassetto del nostro territorio mai ancora avvenuto.

Occhio che il clima non sta a guardare!

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