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Sono passati due anni da quando il Presidente della BCE Mario Draghi ha fatto la sua determinante promessa di salvare l’euro. L’intervento, seguito dalla pronunciata anche se tardiva politica monetaria accomodante, ha posto fuori gioco per ora la questione della sopravvivenza dell’euro, ma la debole performance economica dell’eurozona tradisce le sfide che rimangono.

Mentre i recuperi statunitensi e britannici proseguono a ritmi elevati, l’area Euro è perseguitata dallo spettro della deflazione, che ricorda gli anni 90 in Giappone. Qualunque sia l’esito finale dell’Abenomics giapponese, i responsabili politici europei dovrebbero rafforzare le tre frecce a loro disposizione per rimettere la zona Euro sul sentiero della ripresa sostenibile.

UNA POLITICA MONETARIA ACCOMODANTE

La prima freccia per l’Europa è il mantenimento di una politica monetaria accomodante. Secondo alcuni, la BCE si è già spinta troppo oltre nel trasferimento della ricchezza dai risparmiatori ai debitori. Questa azione, tuttavia, è necessaria per allontanare una deflazione in “stile giapponese” e potrebbe anche doversi rafforzare in assenza di una leadership politica coesa nell’area Euro.

L’AGENDA DELLE RIFORME

La seconda freccia della zona Euro dovrà essere un’azione più concertata su pensioni, mercato del lavoro e riforme fiscali. Mentre la crisi ha accelerato riforme pensionistiche in Grecia, Spagna e Italia, l’ampiezza dei problemi che devono affrontare molti paesi europei non è stata adeguatamente affrontata. La spesa pensionistica nella maggior parte dei paesi della zona Euro è già oltre il 10% del PIL, rispetto a circa il 4%, 5% e l’8% in Australia, Stati Uniti e Regno Unito.

Queste pressioni si intensificheranno all’allungarsi dell’aspettativa di vita ed all’aumentare del rapporto tra pensionati e lavoratori. Nell’Europa occidentale, il rapporto tra ultra 65enni e la popolazione in età lavorativa (AOD) è destinato a salire dal 28% nel 2010 a quasi il 50% entro il 2050. La Francia, per esempio, attua già varie opzioni di prepensionamento che portano l’età effettiva di pensionamento solo a 60 anni.

Nel frattempo la Germania, dove si prevede che l’OAD raddoppi quasi al 60% entro il 2050, sta inviando un segnale sbagliato abbassando l’età legale di pensionamento da 65 a 63 anni. Aumentare l’età effettiva di pensionamento è una sfida politica fondamentale per l’eurozona.

Altre riforme del lavoro sono poi essenziali per promuovere la crescita e contrastare l’alto tasso di disoccupazione, che rimane al di sopra dell’11%. In particolare, i responsabili politici devono affrontare l’impatto della tutela eccessiva di lavoratori, imprenditori e persone prive di un’occupazione. Sono inoltre necessarie misure fiscali per ridurre le disuguaglianze e creare maggiore domanda da parte dei consumatori. La maggior parte della discussione si è concentrata su tasse più alte per le persone che beneficiano di una più elevata ricchezza, ma si potrebbe fare di meglio con una maggiore enfasi sulla riduzione fiscale, soprattutto in paesi come la Germania, che ha il maggior margine di manovra.

Non c’è da stupirsi che i consumi delle famiglie tedesche siano così anemici, se si considera che i suoi lavoratori a reddito basso-medio sono tra i più colpiti in termini di tassazione totale

INVESTIMENTI IN INFRASTRUTTURE

La terza freccia per la zona Euro dovrebbe essere un programma di investimenti, in particolare nel settore delle infrastrutture. Se ne è parlato in una serie di paesi, più di recente in Francia, ma la portata e la realizzazione di tali investimenti è ancora lontana. Anche sotto tale profilo, la Germania ha il potenziale maggiore. La riunificazione ha portato massicci investimenti di capitale nella parte orientale del paese, a discapito di investimenti in quella occidentale. Gli investimenti annuali di capitale pubblico in Germania sono diminuiti costantemente da circa il 4% del PIL nel 1970 a una media di appena l’1,6% dal 2000, ancor meno che negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Uno studio dell’Istituto Tedesco di Ricerca Economica ha segnalato proprio una cronica mancanza di investimenti in infrastrutture, istruzione e fabbriche, che rischia di minare la competitività e la crescita a lungo termine del paese.

Contrariamente al comune pensiero che vorrebbe vedere la politica focalizzarsi sui paesi periferici in maggiore difficoltà, la zona euro potrebbe maggiormente beneficiare di queste “frecce” indirizzate all’area continentale.

Andreas Utermann, Global CIO di Allianz Global Investors

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