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La prima parte dell’analisi di Ettore Jorio si può leggere qui, mentre qui la seconda.

Tempo addietro scrivevo sulla rivista Astrid (n. 14/2013) un articolo dal titolo provocatorio “Se abolissimo le Regioni?”, ove prendevo atto di quanto ivi stava accadendo da decenni e di quanto fosse necessario intervenire, tempestivamente, con una efficace e bene mirata spending review. Un adempimento doveroso cui andavano, da tempo, sottoposte le Regioni per il dispendio sistematico e progressivo di risorse economico-finanziarie e di energie lavorative, altrove più utilmente collocabili, nonché per l’eccessiva presenza di personale “politico”, operante al loro interno, e per la corruzione spesso dilagante nel suo versante burocratico.

INTERVENIRE SULLE AUTONOMIE

Le previsioni contenute nella legge di stabilità per il 2015, attualmente all’esame del Parlamento, intervengono anche su una tale problematica, cominciando ad imporre al sistema autonomistico territoriale pesanti risparmi, più esattamente di quattro miliardi di euro sia ai Comuni che alle Regioni. Queste ultime, dapprima in rivolta, cominciano via via a confrontarsi ragionevolmente con il Governo, non disdegnando (pare) di affrontare anche il percorso di revisione della spesa nella sanità, riconoscendo con ciò sprechi generalizzati. Ovviamente, una tale considerazione diventa più fondata nelle regioni del sud, ove lo spreco, prodotto sia in termini di malversazione delle risorse che di ingigantimento del fenomeno dell’occupazione clientelare fine a se stessa, fa da padrone da sempre. Due grandi “guai” per il sistema Repubblica che alimentano l’insorgenza e il consolidarsi di convincimenti diffusi tendenti addirittura alla soppressione delle Regioni, in un più generale processo di revisione della Costituzione.

LE REGIONI DEVONO CAMBIARE

Prescindendo dalla loro cancellazione, sono in molti a pensare che le stesse devono comunque cambiare e, dunque, moralizzare l’esercizio del loro ruolo, in modo da favorire concretamente, per quanto di loro competenza, legislativa e/o amministrativa: l’insediamento a regime delle Città metropolitane; la realizzazione delle Unioni municipali; la sensibile sfoltitura del numero dei Comuni, da dimezzarne la presenza attraverso una convincente incentivazione delle fusioni. Ciò in attesa che la griglia istituzionale della Repubblica venga rivista radicalmente (ex art. 138 Cost.) con la scomparsa definitiva delle Province ed, eventualmente, la previsione delle mega-Regioni con ad esse attribuite potestas di più ampia portata rispetto a quella attuale, ivi compresa quella di esercitare una concreta e diffusa rappresentanza, a livello comunitario ma anche internazionale, funzionale alla conclusione di strumenti negoziali indispensabili per la crescita del PIL di area multi-regionale. Un modo, questo, per rilanciare le attuali Regioni, criticate in lungo e in largo a causa dell’evidente squilibrio tra ciò che assorbono in termini di risorse pubbliche rispetto a ciò che, di fatto, producono. Esse vanno esaltate nell’esercizio del ruolo che la Costituzione assegna loro, quello di produrre la legislazione di dettaglio e di esercitare la programmazione degli interventi necessari alla gestione del territorio in senso lato nonché quello di esercitare bene il compito di terminale amministrativo dell’erogazione ai cittadini delle prestazioni essenziali, prima fra tutte quella socio-sanitaria. Una funzione istituzionale non facile e da rivedere sensibilmente al fine di consentire una esigibilità dei diritti di cittadinanza, prioritariamente quelli etici e sociali, primo fra tutti quello della tutela della salute che fa acqua nel centro-sud, a causa di un sistema caratteristico pieno zeppo di debiti e incapace di chiudere generalmente i bilanci in equilibrio, che fa cifra sul bilancio pubblico.

IN PREVISIONE DI UNA RIFORMA COMPLESSIVA

Considerato un siffatto fondamentale peso istituzionale, segnatamente incidente sul corretto funzionamento della Repubblica, e in attesa che si faccia ricorso ad una rivisitazione dell’intero sistema della pubblica amministrazione territoriale – magari prevedendo una sostanziale aggregazione delle attuali Regioni, da perfezionarsi in relazione alle omogeneità territoriali e delle sinergie realizzabili sulla base delle caratteristiche “produttive” – occorre non stare fermi. Necessita rimuovere i fenomeni negativi che caratterizzano lo stato dell’essere delle Regioni, maggiormente laddove rappresentano il problema piuttosto che la soluzione relativamente al governo del territorio e alle iniziative destinate alla crescita e al lo sviluppo.

IL RUOLO DEI GOVERNATORI

Un compito che dovranno promuovere ed esercitare, da subito, con impegno, passione e continuità, i governatori in carica. Anche quelli che aspirano ad essere tali in quelle Regioni che andranno al voto l’oramai prossimo 23 novembre (Emilia-Romagna e Calabria) e appena successivamente (Liguria) e, quindi, nella successiva primavera (altre sei) avranno l’obbligo di caratterizzare in tal senso le loro candidature con campagne elettorali al seguito. Una tale occasione – proprio perché protesa a generare un confronto tra quella che è, per funzionamento burocratico, una delle migliori Regioni italiane (l’Emilia-Romagna), con quella che lo era e non lo è più (la Liguria) e quella che non lo è mai stata (la Calabria) e che rappresenta il fanalino di coda per antonomasia in tutte le classifiche di merito – costituirà, infatti, una bella sfida per i candidati e una occasione per i cittadini per potere decidere consapevolmente.

E PER GLI ASPIRANTI PRESIDENTI

Gli aspiranti Presidenti delle Regioni dovranno, pertanto, presentarsi all’appuntamento elettorale: facendo quantomeno il riassunto di se stessi; prospettando cosa faranno “da grandi” le loro regioni; spiegando come la loro Regione diventerà esempio di efficienza, di efficacia ed economicità; garantendo la dignitosa esigibilità dei diritti sociali (primo fra tutti quello alla salute); declinando i programmi che consentiranno ai giovani di recuperare la loro dignità e di continuare a vivere dove amano farlo, programmando ivi il loro lavoro, la loro casa e la loro famiglia.

Regioni più autonome, un obiettivo da raggiungere

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