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Botta e risposta. Dopo la pubblicazione dei conti dell’editoria digitale indipendente in Italia da parte del quotidiano economico Italia Oggi, Marco Alfieri, direttore de Linkiesta, risponde con un lungo editoriale a Claudio Plazzotta, che sul quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi ha parlato di un rischio liquidazione per Linkiesta e ipotizzato un possibile pentimento da parte del giornalista per aver lasciato a gennaio 2013 un posto “sicuro” da inviato de La Stampa per approdare a Linkiesta.

I DATI E UNA MAGRA CONSOLAZIONE

Secondo i dati pubblicati dal quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi, Linkiesta sarebbe la società ad aver accusato maggiormente il colpo tra i siti di informazione indipendenti con quattro milioni di perdite in tre anni, e soli 450 mila euro di ricavi cumulati in tre esercizi.

E le prossime settimane saranno decisive per la continuità aziendale:”Coi bilanci che ha non so se Linkiesta avrà la forza di andare avanti e cambiare pelle definitivamente”, scrive Alfieri.

Un prezzo che per il direttore de Linkiesta è stato però in parte compensato da un’esperienza fortemente formativa: “Un servizio militare permanente dove sto imparando come mai prima e che mi fa dire no, non mi sono pentito della scelta di mollare La Stampa”, si legge nel suo editoriale pubblicato ieri.

NESSUN RIMPIANTO

Alfieri confessa di non rimpiangere il giornalismo vecchio stampo, quello dei “soliti giornali che vanno con il cappello in mano a Palazzo Chigi per strappare gli ultimi refoli di soldi pubblici”, scrive (maliziosamente…) in risposta a Plazzotta. E ne spiega il motivo: “È difficile avere nostalgia di un modello del genere, ben più conciato di noi tapini digitali che abbiamo il torto di essere nudi davanti al mercato: coi nostri difetti, i nostri bilanci oggettivamente inguardabili, le nostre ingenuità, senza (ancora) modelli di business sostenibili ma anche senza protezioni, senza soldi pubblici, senza santi in paradiso. Giustamente, ogni errore lo si paga salato”.

LA CARTA DEL FUTURO

Ma il suo non è antagonismo. Alfieri ama la carta stampata e crede in un suo rinnovamento futuro che si immagina così: “Meno pagine, più esclusive, grandi storie, grande verticalità di target, grandi approfondimenti, grandi inchieste e reportage lunghi, grandi ritratti, grande distintività, professionalità top, grande autorevolezza, grande eleganza e ottima scrittura”.

DALLA PALUDE ALLA GIUNGLA

Passato dalla “palude alla giungla”, Alfieri dichiara di aver provato a fare una cosa innovativa: “Una piccola casa editrice digitale capace di produrre long-form che unissero testo, video, animazioni, infografiche e statistiche impacchettati in formato ebook, da vendere su un sito vetrina collegato al giornale”.

IL TERREMOTO

Questo prima che accadesse il terremoto in redazione: “Il nucleo storico dei giornalisti fondatori ha deciso di lasciare il giornale. L’azienda mi ha chiesto di prendere in mano il timone, ci ho pensato un po’ e alla fine ho accettato l’incarico con lo spirito del praticante digitale, testa bassa e pedalare”, ha raccontato Alfieri, che a febbraio 2013 ha preso il posto dell’ex direttore del sito, Jacopo Tondelli.

A LINKIESTA HO IMPARATO…

Catapultato “direttamente in trincea, dov’è facile prendere musate” Alfieri ha dovuto così imparare in fretta. E la fila degli insegnamenti di questi ultimi 15 mesi è lunga:

A Linkiesta ho imparato che non funzionano i giornali di carta proiettati sul web;

A Linkiesta ho imparato che un giornale digitale per essere innovativo e quindi sostenibile deve avere un cuore tecnologico;

l prodotto che facciamo, su carta e su web, non funziona più (o non funziona ancora) e va rivoluzionato.

A Linkiesta ho imparato che non ci sono rendite di posizione che ti porti dietro dalla carta stampata, tutto viene misurato, tracciato. Non esistono firme, non esistono salotti e salottini che ti schermano, non esistono contenuti più contenuti di altri. E, soprattutto, guida il lettore. Sempre;

A Linkiesta ho imparato che non esiste più, nella testa e nelle scelte del lettore, il monopolio del testo scritto;

Se i formati editoriali si moltiplicano, quel che serve per far funzionare un nuovo giornale digitale sono figure ibride, trasversali;

A Linkiesta ho imparato che non si possono più fare giornali per gli addetti ai lavori, i colleghi o i direttori dei giornali in cui speri di andare a lavorare;

A Linkiesta ho imparato che non esiste un giornalismo di serie A, di serie B e di serie C ma solo buona e cattiva informazione;

A Linkiesta ho imparato che non ha più senso fare l’ennesimo “Corrierino della Sera” senza le gambe per generare interessi e traffico sufficientemente ampi per stare in piedi…

LA STORIA DI UN INSUCCESSO

Ma insegnamenti a parte, “finora Linkiesta è la storia di un insuccesso – ammette Alfieri – La mia direzione a Linkiesta finora è la storia di un insuccesso. Perché ad oggi Linkiesta non è un progetto editoriale sostenibile. Per arrivarci servirà molta più radicalità nell’innovazione, nei formati, nei linguaggi, nella tecnologia, nella cultura, nell’organizzazione di chi fa il giornale tutti i giorni, nella lungimiranza degli azionisti e nella competenza degli amministratori”.

Linkiesta, le confessioni del direttore Marco Alfieri

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