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Il mondo sgomento assiste impotente e si interroga di fronte ad una violenza sulle donne sempre più feroce.

Una piaga che non conosce latitudine, contesto sociale, economico o culturale.

Leggi, provvedimenti e dibattiti politici, contributi sociologici e neuroscienze si rincorrono in una ricerca di comprensione senza soluzioni definitive.

Quali orizzonti?

I dati sulla violenza, in Italia, sono drammatici. Secondo la direzione centrale della polizia criminale, 96 i femminicidi, alla data del 22 ottobre, di cui 77 uccise in ambito familiare. In media, dieci vittime al mese. Ad oggi, 107.

Numeri che nascondono un sommerso fatto di sopraffazione fisica e psichica, dipendenza economica, privazione della libertà, mortificazione, manipolazione e abuso. Un abisso in rapporti asimmetrici, nella “normale” quotidianità, che rende le donne vittime anche di se stesse. In una sofferenza, spesso, percepita come vergogna, segreto, rassegnazione.

Solitudine, sfiducia, angoscia sono, dunque, il sentimento presente nella Giornata internazionale del 25 novembre. Volto deforme di una società sempre più provata.

La drammatica fine di Giulia Cecchettin è una ferita inflitta alla società da una lama profonda. La storia di due giovani ritenuti esemplari, per corso di studi e ambiente familiare, annulla la speranza di un futuro possibile.

Donne vittime del proprio coraggio? Giulia incontra il proprio assassino per aiutarlo a superare un doloroso distacco. Non è la prima volta che accade. A parti invertite, quanto un uomo si preoccupa del dolore della donna? E, allora, quanto significano la cura e l’accoglienza in un universo privo di valori, riferimenti, certezze?

In tutto il mondo, donne ingannate, violate nell’infanzia, mutilate. Vittime “secondarie” di “violenza assistita”, i figli orfani del femminicidio sono orfani per sempre. Feriti nella profondità dell’anima e, spesso, dimenticati.

Eppure, l’energia femminile pulsa ora più che mai. Le piazze vedono le donne in prima linea. Attraverso la propria, danno voce ai diritti di tutti. Ma a quale costo?

Sono le donne afghane e iraniane, private di ogni diritto umano, stuprate, torturate, uccise. Eppure capaci di fare paura. La bellezza nei corpi offesi, la fierezza negli sguardi indomiti. Donne rivoluzionarie dai simbolici gesti eroici, come il taglio di una ciocca di capelli, per un cambiamento che chiede il loro sacrificio estremo per poter immaginare un domani. Alimentano disubbidienza, rottura, ribellione. Sono una minaccia, per i regimi. Ma continuano le loro battaglie anche da detenute.

Da esibire in ogni occasione, sono tre donne, in ostaggio a Gaza, a dover trasmettere un videomessaggio.

Mentre, guerriere della pace, hanno sfilato madri israeliane e palestinesi insieme, unite nella forza dell’amore.

Le donne continuano a dimostrare di essere risorsa essenziale di determinazione, capacità e coraggio. Forza per spezzare una catena di sfiducia.

A tre donne, quest’anno, è stato conferito il Premio Nobel.

Il Nobel per la Pace 2023 a Narges Mohammadi, attivista iraniana dal 2016 detenuta in carcere, “per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per la promozione dei diritti umani e di libertà”. Per l’Economia a Claudia Goldin, prima donna professore a Harvard, “per aver migliorato la nostra comprensione dei risultati del mercato del lavoro femminile” con i suoi studi sulle differenze di genere. Nobel per la medicina alla ricercatrice Katalin Karikó, insignita, insieme a Drew Weissman, per aver contribuito a sviluppare vaccini a mRNA contro il Covid-19 e per la cura di altre malattie.

Il Global teacher prize 2023 è stato assegnato, tra 7.000 candidati di 130 Paesi, a Sister Zeph, insegnante pakistana che, discriminata in quanto donna e cristiana, da autodidatta, laureata in Scienze Politiche con master in Storia, ha fondato una scuola per assicurare un’istruzione gratuita ai bambini, ora 250 gli iscritti.

Nel cinema, le donne annullano stereotipi. In un mondo in cui, secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Cultura, nove film italiani su dieci sono diretti da uomini, testimoni dietro la macchina da presa, indagano su una realtà in cambiamento con lo sguardo femminile, che crede in un futuro migliore.

Con venti milioni di incasso, il film di Paola Cortellesi, alla sua prima esperienza da regista ma anche attrice protagonista, affascina, coinvolge e commuove uomini, donne, giovani. Unisce sensibilità tra un passato e un presente forse ancora troppo simili, pur dopo tante conquiste.

La Corte europea dei diritti umani ha condannato più volte l’Italia, tra i cinque Paesi europei con il più alto numero di donne uccise, a causa della “risposta inefficace e tardiva” delle autorità alle denunce di violenza domestica. Mentre l’Unione europea cerca di superare le resistenze di alcuni Stati membri su una nuova legislazione comunitaria che introduca una definizione del reato di stupro. Proposta con direttiva della Commissione l’8 marzo 2022, si attende l’approvazione prima delle elezioni europee di giugno 2024.

La coscienza critica delle Istituzioni e della società civile italiana cresce nei confronti della violenza. Magistratura e Forze di polizia, associazioni e centri antiviolenza sono impegnati sempre più in rete.

Nuove leggi e nuovi progetti, in Italia, inaspriscono pene e promuovono iniziative per un cambiamento culturale, a partire dalla scuola, per educare alle relazioni e sensibilizzare contro la violenza.

Nel mondo del lavoro, patto tra istituzioni e aziende e autodisciplina per le imprese intendono favorire occupazione femminile e parità salariale.

Dalla collaborazione tra mondo accademico e giornalismo, nasce l’Osservatorio indipendente sui media contro la violenza nel linguaggio sulle donne, per una corretta rappresentazione della violenza di genere.

La violenza più vera è narrata dalla voce di chi l’ha vista e vissuta. È ancora il coraggio di una giovane donna, la sorella di Giulia, con la sua testimonianza toccante, diretta, forte, il punto di svolta di un racconto che entra nel cuore di chi l’ascolta. Portando un dolore che potrebbe esistere in ogni famiglia.

Ma dove si annida il germe della violenza? Nella famiglia, nella scuola, nelle comunità? Quale spazio per i sentimenti, l’amore, il corteggiamento e la seduzione, in un mondo che ha smarrito il senso del bene e del male? In una società che non ha più luoghi “sicuri” nemmeno per l’infanzia?

Tutti, indistintamente, soffriamo indignati, di fronte ai drammatici fatti di cronaca. È il momento di riflettere, per gli uomini, sulla loro profonda fragilità, rifiutata da sempre dietro finte maschere di forza. Il vuoto e l’inganno sono il silenzio che apre varchi a rabbia e aggressività e rende schiavi di se stessi. È un’emancipazione di cui tutta la società ha bisogno per guardare avanti, in una visione della vita condivisa, della mente e del cuore, che, solo attraverso la lealtà e il rispetto, potrebbe, forse, garantire il diritto alla felicità.

Il 25 novembre, il coraggio delle donne e lo sforzo per il diritto alla felicità. Scrive Frojo

È il momento di riflettere, per gli uomini, sulla loro profonda fragilità, rifiutata da sempre dietro finte maschere di forza. Il vuoto e l’inganno sono il silenzio che apre varchi a rabbia e aggressività e rende schiavi di se stessi. È un’emancipazione di cui tutta la società ha bisogno per guardare avanti, in una visione della vita condivisa, della mente e del cuore, che, solo attraverso la lealtà e il rispetto, potrebbe, forse, garantire il diritto alla felicità

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