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La Francia non rispetta il patto di stabilità europeo. Può essere l’inizio di un profondo cambiamento dell’ Unione Europea o tutto procederà come prima, con il dominio della Germania su Paesi che arrancano o che ormai si sono lasciati “sottomettere”?

Ci possono essere alcune considerazioni preliminari da tenere presenti.

L’ Euro è una moneta complicata, creata per facilitare l’integrazione, ma che sembra aver ottenuto l’effetto contrario. In concreto non pare governabile. Rappresenta realtà economico-sociali radicalmente diverse. Ha un valore di mercato che tende a premiare le sue aree ricche e a penalizzare a quelle povere (per esempio si dice che rispetto al dollaro dovrebbe valere 1.50, per soddisfare gli interessi tedeschi e 1.00 per quelli italiani, essendo partito da 1.00 e oscillando oggi su 1.25, dopo aver toccato anche 1.57). Ha infine regole troppo rigide per consentire politiche economiche autonome di 18 Stati così diversi.

I debiti pubblici si sono fortemente internazionalizzati e quindi molti Paesi tendono a vivere sotto tutela finanziaria “straniera”.

Da quando circola l’Euro, paradossalmente sono esplosi nazionalismi e sciovinismi, fino ad allora sopiti o sconosciuti.

Regis Debray scrisse nel 2010 “Eloge des frontières”, un libro nel quale da “sinistra” vedeva come unica via di uscita della mondializzazione, per lo sviluppo e la pace, la gestione delle frontiere come “porte” aperte, ma sempre “porte”. Secondo Debray i popoli possono progredire solo nel rispetto reciproco delle loro specificità; e quindi delle loro tradizioni, culture, valori, religioni. Debray arriva a rivendicare l’orgoglio del passaporto, come presentazione di una identità: anche in Europa. Queste tesi devono essere lette contro l’ Europa o contro questa Europa?

La Francia ha dunque violato i patti europei, lanciando anche un messaggio semplice, ma difficilmente digeribile in Commissione; prima gli interessi nazionali e poi quelli europei. Dietro a questa posizione ci sono anche pasticci politici interni al Paese. Ma questa decisione costituisce un precedente (anche se non il primo) per gli altri 28 Paesi dell’Unione (sulla quale sempre Debray pensa “…La miseria mitologica dell’effimera Unione Europea, che la priva di ogni affectio societatis, deriva in ultima analisi da ciò che essa non vuol sapere e, ancor peggio, da quello che non vuol dichiarare: da dove essa cominci e dove essa finisca…”).

Ora ognuno potrà violare i patti o urlare per il loro rispetto, con prove di forza tecnico-burocratiche (sanzioni della Commissione), di significato politico (interesse della gente) pressoché nullo. E allora? Tutte le lotte e le incomprensioni si sposteranno in Commissione? La Francia ha il commissario alla Economia; ma la Germania ha voluto due vicepresidenti di fiducia che dovrebbero controllarlo; e ha anche un grande peso sul presidente stesso e sugli alti burocrati dell’ istituzione.

In conclusione la sfida francese non è di poco conto. Difficilmente tutto potrà tornare come prima; quindi o la Commissione pretenderà il rispetto degli accordi e imporrà sanzioni alla Francia, con la quale si schiereranno molti Paesi poveri dell’UE, a cominciare dall’Italia; oppure si faranno nuovi patti, tesi a risolvere i problemi dell’integrazione finora quasi tutti lasciati aperti (la lista delle integrazioni dovute e non risolte è ormai un dizionario, in campo sociale, economico e giuridico); e tesi anche a tracciare una linea a denominatore comune per lo sviluppo.

Questo avverrà in un momento, in cui ci sono le tesi filosofiche affascinanti di Debray, ma anche quelle nazionalistiche e regionalistiche crescenti, nelle politiche di tutti i Paesi; e c’è un euro che non accontenta nessuno; neppure la Germania che lo domina.

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