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La crisi in Irak è solo una questione americana? Tutti i canali news in tv, i siti internet, i quotidiani degli Stati Uniti, hanno dedicato in questi giorni la maggior parte del loro spazio-tempo a quel che sta accadendo in Irak, narrano il narrabile perché molto resta avvolto dalla nube della propaganda, nonostante le orrende immagini di stragi, ospitano opinioni e analisi.

LE VARIE POSIZIONI

Le tesi, naturalmente, sono le più diverse: i neocon tornati alla luce in seguito a recenti scavi denunciano il pericolo del califfato fondamentalista che si estende dalla Siria fino alle porte di Bagdad (è questa la posizione di Paul Wolfowitz); la famiglia Cheney (padre e figlia) accusano Obama di aver abbandonato il terreno ignorando gli interessi strategici del paese; i neorealisti (seguaci di Kissinger) si interrogano su una possibile via d’uscita diplomatica, accettando una divisione in tre dell’Irak che finora è tabù per gli americani di qualsiasi tendenza e che rappresenta invece l’obiettivo principale dei curdi del nord; i neo-ottimisti (se così si può dire) ritengono che la forza dell’ISIS di Abu Bakr al Baghdadi dipende dal sostegno delle tribù contrarie al governo di Nuri al-Maliki, dunque basta farlo cadere e aprire una trattativa sulla spartizione del potere, del petrolio e del territorio, creando una sorta di confederazione.

CHE DICE HILLARY

Intanto Hillary Clinton – che sta promuovendo il suo libro in attesa di annunciare la candidatura per la Casa Bianca nel 2016 – si trova ad affrontare lo spettro di Bengasi ora che è stato arrestato il presunto responsabile Ahmed Abu Khattala. Intervistata da Christiane Amanpour per la Cnn è apparsa su questo punto decisivo reticente e imbarazzata a giudizio della stessa Amanpour.

L’ATTEGGIAMENTO DELLA CASA BIANCA

L’amministrazione Obama non sa che fare. Secondo il New York Times sta scegliendo l’intervento dal cielo, secondo il Wall Street Journal invece il presidente lo esclude. Si sono aperte discussioni con esponenti del Senato e della Camera dei rappresentanti. Obama ha detto che non saranno impiegate truppe di terra (“no boots in the ground”), ma senza truppe di terra i bombardamenti sono inefficaci e pericolosi per i civili (le bombe sono intelligenti se guidate da percome intelligenti). L’ultima è che solleverà ufficialmente il caso di fronte al Congresso (il quale ormai preso dalle elezioni di mid-term non sembra aver intenzione di rischiare).

IL DISINTERESSE EUROPEO

Insomma, l’America si trova di nuovo coinvolta in una crisi politica e militare di vasta portata. Ma tutto questo sembra interessare poco l’Europa e per niente l’Italia. Sto seguendo la stampa e la tv da lontano e ammetto che ci sono fior di notizie di cronaca nera, rosa e politica con le quali riempire lo spazio-tempo dei media. Ma attenzione, la campana irachena suona anche per noi. Perché i suoi rintocchi vengono rilanciati in Siria e in Libia. E in tutta la mezzaluna islamica che si estende dal nord Africa all’Iran. L’Europa non può stare alla finestra gingillandosi con il fiscal compact e altre astrusità del genere. Tanto meno può restare chiusa nella sua bambagia renziana l’Italia.

Leggi sul blog Cingolo l’analisi completa

Come si vive la crisi in Irak stando a Washington. Mentre in Europa si dorme

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