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Con una svolta di 180° (ma forse no) il Parlamento turco ha autorizzato il governo a seguire una politica più attiva in Siria e Iraq. E’ stata così rinnovata, ampliandola all’Iraq, l’autorizzazione a impiegare la forza, decisa nel 2012 e che scadeva sabato 4 ottobre, di impiegare la forza contro la Siria, concessa a seguito dell’abbattimento di un caccia turco a opera della contraerea di Assad.

GLI SCENARI

Questo non significa che la Turchia – che dispone di un esercito che nella Nato è secondo per dimensioni solo a dopo quello americano – interverrà in modo decisivo né immediatamente nella lotta contro l’ISIS. La Turchia potrebbe limitarsi a contrastare l’afflusso di volontari jihadisti e di rifornimenti all’ISIS tramite il suo territorio e bloccare le esportazioni di petrolio, che danno al Califfato introiti di qualche centinaia di milioni di dollari all’anno.

 

LE IPOTESI

La Turchia potrebbe poi concedere l’uso della grande base aerea di Incerlik. Potrebbe anche adottare misure unilaterali, quali la creazione di una fascia cuscinetto sul confine siriano o di “zone di sicurezza” per i rifugiati. Potrebbe infine fornire in Siria e in Iraq le fanterie, che gli altri paesi non sono disponibili a fornire, ma che sono indispensabili per raggiungere gli obiettivi dichiarati dal presidente Obama. Potrebbe infine, ma non lo creso, impegnare a massa le proprie forze per modificare la situazione.

L’AMBIGUITA’

Ma l’atteggiamento turco è stato finora ambiguo. L’incertezza e la complessità della situazione potranno indurla a fare il minimo possibile, tanto per salvare la faccia e non innescare reazioni da parte di Mosca o di Teheran, qualora la sua partecipazione venisse subordinata, coma ha dichiarato Ergogan, al fatto che la coalizione combatta tutti i terrorismi (quindi anche il PKK curdo) e che la destituzione di Assad abbia la stessa priorità della lotta contro l’ISIS. Tali interrogativi non possono avere risposta fino a che non si saranno conclusi i negoziati tra Ankara e Washington. Insomma una certa cautela è necessaria.

LO SCETTICISMO

La Turchia è stata finora scettica nei confronti della coalizione anti-ISIS a guida americana. Erdogan ne ha criticato senza mezzi termini la strategia. Ha affermato che, se può neutralizzare temporaneamente gli jihadisti del Califfato e metterli sotto pressione per evitare che compiano attentati in Occidente, non potrà risolvere i problemi di fondo: quello del terrorismo di radice islamica radicale, alimentato dai salafiti/wahhabiti sauditi e, soprattutto, quello degli assetti geopolitici e confessionali del Medio Oriente.

LE DOMANDE

Erdogan ha pienamente ragione. I membri della coalizione non hanno neppure abbozzato gli assetti del post-ISIS e del post-Assad. Saranno mantenuti i confini fissati dopo la prima guerra mondiale? Quale spazio d’influenza sarà permesso all’Iran, che con la Turchia è la potenza non-araba in competizion e per l’influenza sul mondo arabo? Inoltre, i bombardamenti aerei con l’appoggio delle fanterie locali anti-ISIS (in uno con l’assunto – alquanto strampalato – che una parte delle tribù e delle milizie sunnite si opporranno agli estremisti, come fecero son il Sunni Awakening del 2006-08 nella provincia di Anbar in Iraq), potrebbero complicare la possibilità di dare alla regione un assetto definitivo. Erdogan vuole che sia favorevole alla Turchia e alle sue ambizioni neo-ottomane, pan-islamiche e panturaniche. La possibilità di realizzazione di queste ultime nel Caucaso e in Asia Centrale dipendono dai rapporti di Ankara con Teheran e con Mosca. Qualora l’intervento turco desse priorità alla lotta contro Assad, le relazioni con tali paesi diverrebbe molto tesa. Insomma, anziché essere parte della soluzione la decisione di Ankara d’intervenire nel ginepraio mediorientale potrebbe complicare le cose.

LE PREOCCUPAZIONI

Ankara è particolarmente preoccupata di due possibilità. Primo, che si rafforzino eccessivamente i curdi iracheni e siriani. L’incubo del trattato di Sèvres del 1920 (abolito poi da quello di Losanna del 1923, dopo le vittorie si Kemal Ataturk) incombe ancora nell’immaginario collettivo turco. Le potenze vincitrici del primo conflitto mondiale avevano creato uno Stato curdo. La Turchia non potrà mai accettarlo. Tutt’al più Erdogan, nella sua ambizione di esercitare un’influenza in tutto l’Islam, cerca di trovare una soluzione al problema degli oltre dieci milioni di curdi che sono cittadini turchi. Ma è disponibile a concedere solo maggiori diritti civili e politici Ha accennato anche alla possibile costituzione di vilayet, cioè di regioni con ampia autonomia amministrativa. Ma non l’indipendenza ai Kurdistan iracheno e siriano, per il timore delle sue ripercussioni sui curdi turchi.

IL RUOLO DELL’IRAN

Secondo, che gli USA stiano cercando un accordo con l’Iran, rivale di Ankara per la leadership regionale. La Turchia è fortemente critica verso l’amministrazione Obama, per aver consentito il golpe in Egitto e non aver bombardato la Siria, quando Assad aveva superato la “linea rossa” dell’uso delle armi chimiche. Ha invano cercato di dare unità agli insorti iracheni, in particolare ai sunniti aderenti alla Fratellanza Musulmana. Spera, in caso di loro vittoria, di estendere al paese il “modello turco” di democrazia islamica, come ha invano cercato di fare negli Stati della “primavera araba”. Ovunque, eccetto in Tunisia ha fallito. Con essa è andata a rotoli l’ambiziosa politica tracciata dal prof. Davutoglu, divenuto primo ministro quando Erdogan è presidente della Turchia. Essa era basata su due pilastri: “nessun problema con i vicini” e “profondità strategica”. Per quanto riguarda il primo, la Turchia ha oggi problemi con tutti. La seconda, è compromessa dal fallimento dell’espansione del “modello turco” e dal fatto che il Medio Oriente si è trasformato da zona di opportunità geopolitica e geo-economica in regione di caos. In particolare, la Siria è diventata teatro di varie guerra per procura. A quelle fra sciiti e sunniti, fra l’Arabia Saudita e l’Iran, fra al-Qaeda e l’ISIS e fra le varie anime del sunnismo, soprattutto fra Fratelli Musulmani e Salafiti/Wahhabiti,  si aggiunge in modo esplicito la rivalità fra Teheran e Ankara. Agli interessi si sommano contrasti confessionali e ricordi storici. Siria e Iraq sono stati sempre parti degli imperi persiano e ottomano.

Insomma, motivi e conseguenze della decisione turca di partecipare più attivamente all’azione internazionale in Siria e Iraq sono incerti e complessi. Certa è solo una cosa. La Turchia rimarrà ambivalente nei riguardi della coalizione, il suo intervento sarà differito e, comunque, non sarà risolutivo.

Erdogan

La mini svolta della Turchia contro Isis

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