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Ma sul serio vogliamo rimettere in moto lo sviluppo economico ? Ma sul serio il Governo sta impostando una politica che sostenga le imprese? Abbiamo fatto un po’ di conti e vero è che un mix fiscale micidiale per le imprese è quello che deriva dall’azione combinata di Imu e Tasi che ha prodotto un ulteriore aggravio fiscale alle nostrea aziende alla faccia delle indicazioni e degli impegni assunti. Rispetto allo scorso anno, in 3 comuni capoluogo di provincia su 4 la tassazione sui capannoni aumenta e non sempre la responsabilità è dei sindaci.

Da un attento esame consegnateci dalla CGIA associazione degli artigiani che rappresenta il 93% della struttura imprenditoriale del nostro paese in termini percentuali, gli incrementi più pesanti si registrano a Pisa (+ 31 per cento, pari ad un aumento medio di 791 euro), a Brindisi (+ 18 per cento, pari a un aggravio di 2.314 euro) e a Treviso (+ 17 per cento che si traduce in un rincaro di 321 euro). Gli imprenditori che, invece, beneficiano della riduzione fiscale più significativa sono quelli che possiedono il capannone nel comune di Nuoro (- 14 per cento, pari a 147 euro), in quello di Modena (- 15 per cento che si traduce in un risparmio di 309 euro) e in quello di Siracusa (-15 per cento, pari a 463 euro).

Questo è il risultato dei numeri degli 80 Comuni capoluogo di Provincia che per l’anno in corso hanno stabilito e pubblicato sul sito del Dipartimento delle Finanze (entro il 24 settembre 2014) le aliquote Imu e Tasi da applicare ai capannoni (categoria catastale D1). Si badi bene, gli importi versati sono al netto del risparmio fiscale conseguente alla parziale deducibilità dal reddito di impresa dell’Imu (pari al 30 per cento dell’imposta nel 2013 e al 20 per cento dal 2014) e alla totale deducibilità della Tasi e della maggiorazione Tares. Inoltre, sono state utilizzate le rendite catastali medie presenti in ciascun Comune capoluogo. Dunque per l’anno in corso l’aliquota Imu sui capannoni può oscillare da un valore minimo del 7,6 per mille a un valore massimo del 10,6 per mille. Quella della Tasi, invece, da zero al 2,5 per mille.

Il legislatore, comunque, ha stabilito che la somma delle aliquote Imu più Tasi da applicare agli immobili strumentali non può superare il valore massimo dell ‘11,4 per mille. Negli ultimi anni l’incremento della tassazione a livello locale è stato massacrante . Dalla metà degli anni 90 ad oggi, l’impennata è stata del 190 per cento. Per quanto riguarda la tassazione sugli immobili, con l’Imu e, da quanto si è capito fino a ora, anche con la Tasi, i sindaci hanno cercato, nel limite del possibile, di non penalizzare le abitazioni principali a discapito delle seconde/terze case e, in parte, degli immobili ad uso strumentale.

Dunque un ulteriore aumento del carico fiscale sugli immobili produttivi e commerciali rischia di mettere fuori mercato molte aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni, che sono sempre più con l’acqua alla gola per la mancanza di liquidità. Rispetto al 2011, ultimo anno in cui si è pagata l’Ici, gli aggravi sono pesantissimi per tutti. Le situazioni più critiche si registrano a Prato, a Cagliari, a Brescia e a Torino dove la tassazione sui capannoni è più che raddoppiata. A Reggio Calabria, invece,l’incremento è del 124 per cento, a Lucca del 128 per cento, a Lecce del 133 per cento e ad Aosta del 143 per cento. La punta record viene registrata a Milano, con un aumento del 162 per cento.

Attenzione: l’asse Francoforte-Berlino, è molto più solido di quanto certa pubblicistica provinciale nostrana descriva. La tesi è lapidaria: oggi per l’Europa la minaccia più grande si chiama Italia, che ha una situazione economica talmente insostenibile che se la crescita non dovesse ripartire andrà verso il default per debito eccessivo, con l’uscita dall’eurozona e la fine dell’euro stesso. Da qui la pressione che Draghi ha esercitato, anche per conto della Merkel, su Renzi.

C’è chi sostiene che trattasi di pressioni indebite – ma in questo caso si dimentica che a Draghi viene continuamente chiesto di andare oltre il confine delle sue responsabilità formali, e che comunque se siamo ancora vivi lo si deve a lui.

Le cose stanno proprio come dice un autorevole quotidiano internazionale: o il governo trova la chiave della ripresa, o l’Italia si schianta, e con lei l’eurosistema. Ma qui scatta la contraddizione a cui siamo impigliati: Renzi non ha certo la responsabilità di quel disastro chiamato Seconda Repubblica, e fa bene a diffidare della classe dirigente (oltre che del ceto politico) che lo ha prodotto. Ma nello stesso tempo mostra limiti evidenti nell’affrontare i problemi del Paese, o meglio nel tradurre in atti di governo – che non sono solo le leggi approvate – le buone e coraggiose intenzioni che abilmente mette in vetrina. Vero è che chi imputa a Renzi di “parlare e non fare” o di essere capace solo di “rottamare e non costruire”, pur avendo non poche frecce al proprio arco, nella stragrande maggioranza dei casi non ha molta credibilità, avendo contribuito in modo diretto e significativo al disastro.

Allora cerchiamo di non mettere Renzi sul banco degli imputati senza uno straccio di idea di come andare avanti con le riforme , né uomini e donne né politiche all’altezza della sfida e non vuole farsi una ragione del fatto che gli italiani indietro non vogliono più tornare, giusto o sbagliato che sia. Dunque cerchiamo insieme e subito una strada.

Le imprese massacrate dalle tasse

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