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C’è una linea, che è quella italiana, e ce ne un’altra, che è quella europea. Le prossime 48 ore potrebbero essere decisive per stabilire la sorte dei 200 miliardi di beni russi congelati e detenuti nei forzieri europei, a cominciare dalla finanziaria belga Euroclear. Il Consiglio europeo che si apre domani, è in buona sostanza spaccato. Il pomo della discordia si chiama prestito di riparazione: circa 140 miliardi di euro da girare direttamente all’Ucraina per sostenerne i costi di ricostruzione, da garantire proprio con le riserve della Bank of Russia messe sotto chiave nel Vecchio continente. Alcuni Paesi, come la Germania, optano per uno smobilizzo generale degli asset, con un vero e proprio colpo di mano. L’Italia, invece, qualche remora ce l’ha.

In soldoni, finora l’Ue e i suoi Stati membri hanno fornito 177,5 miliardi di euro a sostegno dell’Ucraina, 63,2 dei quali sotto forma di sostegno militare. Ma ora è il momento di passare allo step successivo. In occasione del vertice informale di Copenaghen che si è svolto a inizio mese, si era registrato un consenso crescente sull’idea di far pagare i costi della guerra in corso in Ucraina non solo ai contribuenti europei, ma anche alla Russia: in quella sede, i leader europei avevano avviato un confronto su come impiegare i flussi di cassa generati dai beni russi congelati, cioè i proventi derivanti dal rimborso dei titoli di Stato e delle obbligazioni giunte a scadenza a essi connessi, per finanziare un prestito dell’Unione europea destinato all’Ucraina.

L’idea è che Kyiv dovrebbe restituire quelle somme a Mosca solo dopo che la Russia avrà versato le riparazioni di guerra dovute per l’aggressione, trasformando così un immobilizzo finanziario in uno strumento concreto di solidarietà e responsabilità internazionale. In alternativa, che l’Ucraina benefici subito della liquidità frutto dei medesimi asset, per poi restituire nel tempo il denaro. Ma il vertice di Copenaghen ha cristallizzato le divisioni nel Vecchio Continente. La Francia non ha nascosto le sue perplessità, giudicando il sequestro dei beni contrario al diritto internazionale. Ancora più netto il primo ministro ungherese Viktor Orban, da sempre vicino alla Russia: “Non siamo ladri, non tocchiamo soldi altrui”. Contraria anche la Slovacchia. Di segno opposto le parole del cancelliere tedesco Friedrich Merz, favorevole invece a questa ipotesi. La linea italiana l’ha data invece Giorgia Meloni, in occasione delle comunicazioni in Senato e alla Camera, alla vigilia del vertice.

Il punto è questo: sì, va stretto il cappio intorno alla Russia, ma più con le sanzioni che con un blitz sui beni congelati. Perché il rischio è quello di far fuggire centinaia di miliardi di capitali dall’Europa. Cosa che, ovviamente, il Vecchio continente non può permettersi. “Va incrementata la pressione e di conseguenza le sanzioni nei confronti della Russia, ma sul punto degli asset russi congelati di cui si discute bisogna rispettare il diritto internazionale”, ha messo in chiaro la premier nell’aula di Palazzo Madama. “Col G7 discutiamo di possibili misure sui beni congelati russi, ma come anche altri Paesi riteniamo di dover rispettare diritto internazionale e principio di legalità, tutelare la stabilità finanziaria delle nostre economie, garantire la sostenibilità di ogni passo che dovesse essere intrapreso”. Insomma, attenti sugli asset russi, perché il saldo finale potrebbe essere, alla fine, negativo per l’Europa stessa.

Domanda, cosa ne pensano gli economisti? Uno dei più autorevoli centri studi del mondo, il Carnegie, ha pochi dubbi. L’operazione Russia va portata avanti, fino alla fine. Perché ne va della faccia stessa dell’Europa. “L’idea di utilizzare i beni russi congelati per aiutare l’Ucraina circola da diversi anni. In questo periodo, un accordo è stato quasi raggiunto più volte, salvo poi essere bocciato da ostacoli imprevisti. Ora l’Europa sembra aver preso in considerazione l’idea di fornire a Kyiv un prestito di riparazione garantito da beni russi”. E “data la mancanza di fondi per sostenere l’Ucraina, l’adozione di un qualche tipo di schema per appropriarsi dei beni russi sembra pressoché inevitabile, nonostante i rischi per Euroclear e per i mercati europei. Ma la posta in gioco è molto alta, perché se questi sforzi falliscono, non sarà solo l’Ucraina a essere a rischio, ma la stessa ragion d’essere dell’Ue”.

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