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Il risultato del voto ci impone di cambiare l’Italia e l’Europa. Dietro il pronunciamento del premier Matteo Renzi c’è un Paese che, con toni più o meno univoci, condivide e chiede di passare ai fatti. Quindi, riforme prima dell’estate, a livello nazionale, e una diversa politica in ambito continentale.

Si tratta di scelte e azioni da attuare insieme, soprattutto per quanto riguarda il settore industriale. Ce ne siamo accorti giovedì pomeriggio, quando Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, al tavolo della siderurgia, riunito nel suo dicastero, ha sottolineato la volontà di tutte le parti presenti di arrivare al semestre europeo a guida italiana con una posizione unitaria sui temi della politica Ue nel settore specifico.

La situazione non è facile. La stessa Guidi ha ricordato come negli ultimi anni la riduzione della quota del manifatturiero sia scesa del 14% rispetto al Pil europeo. Giorgio Squinzi è stato ancor più preciso. Il presidente di Confindustria ha sottolineato come negli ultimi due anni in Italia si siano persi nel manifatturiero 120.000 imprese e quasi 1,2 milioni di addetti collegati, mentre la disoccupazione viaggia verso il 13%, il reddito procapite è ai livelli del 1996, i consumi a quelli del 1998, gli investimenti al 1994 e la produzione industriale al 1986.

Eppure, gli italiani col voto del 25 maggio hanno rifiutato l’euroscetticismo e concesso un’apertura di credito al governo più giovane della storia della Repubblica ed al Presidente del Consiglio che lo è altrettanto. Responsabilità e rischio di non farcela sono enormi. Scrive Mario Calabresi riferendosi al primo ministro: “Ha gli occhi degli italiani e questa volta anche degli europei addosso, abbandoni improvvisazioni , arroganze e proceda spedito con senso della misura e coraggio di innovare”.

I consigli su cosa fare dentro e fuori l’Italia giungono da più parti. “Certezza del diritto – scrive Alberto Quadrio Curzio – le semplificazioni, una fiscalità stabile e alleggerita, il recupero dell’evasione, l’efficientamento della spesa pubblica, la riforma del titolo quinto della Costituzione, la stabilità dei governi nelle legislature”. Suggerisce Romano Prodi: “Si parta da un progetto energetico continentale che leghi fra di loro gasdotti, oleodotti e linee elettriche. Si proceda al completamento di un sistema di trasporti integrato. Si costruisca un piano di ricerca capace di riportare l’Europa alla guida dei cambiamenti futuri del mondo. E si proceda a costruire gli strumenti collettivi necessari, a partire dalla progressiva mutualizzazione dei debiti attraverso gli Eurobond”.

L’orientamento di voto degli italiani ha inaspettatamente dimostrato l’interesse nazionale italiano e l’interesse comune europeo. Se l’Italia riesce a fare le riforme può guidare il nuovo processo d’integrazione del continente e puntare a rafforzare il legame indissolubile che unisce l’Europa agli Stati Uniti. “Non c’è altro modo per poter contare nel mondo”, chiosa Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica e saggio europeista. Ma ci si arriva se riusciamo a cambiare prima di tutto qui da noi, necessariamente insieme. Solo così si può andare lontano, per contare in Europa ed al di là dell’Atlantico.

Antonello Di Mario

Direttore di “Fabbrica società”

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