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Si compie un grave errore se si pretende di parlare della Cina di oggi, del suo eccezionale sviluppo e dei suoi complessi processi di riforma, senza tener conto della storia passata. Certi tratti caratteristici della cultura cinese, strutturatisi durante l’evoluzione storica, sono rimasti; qualificando in modo non banale l’identità di questo popolo destinato a giocare un ruolo di rilevanza crescente nel futuro dell’umanità.

CONFUCIO

Tutt’ora in Cina ci si interroga se considerare Confucio come figura rappresentativa del pensiero cinese e chiave di volta per la diffusione della civiltà del Fiume Giallo all’interno e all’esterno del paese. Per Mao Tse-Tung, Confucio rappresentava un simbolo della reazione e del declino della società schiavista che traghettava verso la fase storica del feudalismo cinese.

La riabilitazione di Confucio passa anche per il sistema educativo della Cina: i testi di scuola infatti riconciliano la tradizione anticonfuciana del 1919 con il confucianesimo. Si è osservato come il presidente Hu Jintao, nel suo discorso commemorativo tenuto in occasione del 90° anniversario della fondazione del Partito Comunista Cinese (PCC), abbia messo al centro dell’intervento l’uomo e il popolo (“Uomo come fondamento” della politica del Partito e del governo), riprendendo ed adattando alle esigenze di oggi dottrine e concezioni elaborate nel IV secolo a.C. dal maggiore interprete del pensiero di Confucio, Menicio.

Nella cultura cinese, come il pensiero di Confucio mostra chiaramente, l’individualismo non è considerato una virtù, e comunque, deve andare di pari passo con un’attenzione alla responsabilità sociale. Questo ci può almeno in parte spiegare perché la Cina di oggi guardi con più attenzione al modello di economia di mercato sociale di tipo europeo, piuttosto che al modello puramente orientato al tipo americano.

Alcuni tratti dell’insegnamento di Confucio, come il valore dato all’apprendimento e all’educazione, al rispetto degli impegni nelle relazioni interpersonali e sociali, il grande ruolo dato all’impiego di governo come dedizione non agli interessi personali, ma al bene della società, si sono rivelati fondamentali nel promuovere il processo dell’economia cinese nel corso della storia.

SUN TZU E ALTRI

Tra lo studio di figure che hanno reso grande la storia del pensiero cinese, e che si candidano quindi a rappresentare la Cina in questa sorta di competizione per il Soft Power , sono altri filosofi importanti come il leggendario maestro Laozi, fondatore della scuola daoista. Da essa prende spunto il pensiero di non interferire con le politiche interne dei diversi stati, facente riferimento alla dottrina del wu wei termine generalmente tradotto con “non agire”, “non intervenire”. Secondo Laozi infatti ogni saggio, per regnare in maniera efficace, non può avere alcun desiderio orientato all’azione”.

Figura storica che, secondo me, rappresenta al meglio il pensiero del Soft Power cinese, è quella di Sunzi, lo stratega militare del VI secolo a.C., la cui opera “L’Arte della guerra” (Sunzi bingfa) è stata tramandata fino ai giorni nostri. Il successo di Sunzi, anche da parte di lettori occidentali non specialisti, è dovuto principalmente all’affermazione per cui “chi eccelle nel condurre la guerra piega gli eserciti avversari senza dar battaglia, espugna le città nemiche senza gettarsi all’assalto, distrugge gli altri regni senza protrarre oltremodo gli scontri”. Non è forse questo il sunto di tutta la strategia politica ed economica del Soft Power?

I cinesi sostengono che le idee dello stratega bellico “promuovano non l’aggressione ma la risoluzione del conflitto, non la rottura della pace, ma il mantenimento della pace”. Secondo Lu Mingde, presidente dell’Hong Kong International Institute of Sun Tzu, “il testo sta diventando un importante ambasciatore della cultura cinese.

La Cina ha riscoperto di recente anche la figura storica di Zhang He, il comandante della più grande flotta di cui la nazione abbia mai disposto, che nel XV secolo, durante il regno illuminato di Zhu Di, imperatore della dinastia Ming, aveva compiuto diverse spedizioni al largo del Pacifico, fino a raggiungere le coste africane al fine di promuovere scambi commerciali e diffondere tra i popoli la conoscenza reciproca. (vedremo in seguito che fu precursore di una delle più grandi manovre economiche internazionali intraprese dalla Cina negli ultimi anni).

A testimonianza delle scelte adottate in ambito di politica interna nell’ultimo periodo (maggiore autonomia agli enti locali estendendo benefici a tutte le fasce della popolazione), Gregory Chow (Economista americano di origine cinese) riporta un significativo brano dello storico Sima Qian, vissuto sotto la dinastia Han nel primo secolo a.C.:

“Ci devono essere contadini che producono cibo, uomini che estraggono la ricchezza dalle montagne e dalle zone umide, artigiani che producono le cose e mercanti che le fanno circolare. non c’è bisogno di aspettare ordini dal governo: ciascuno svolge il suo ruolo, facendo del suo meglio per ottenere ciò che desidera. I beni a buon mercato andranno dove se ne comprano di più; i beni che costano rendono gli uomini desiderosi di andare in cerca di bene a buon mercato. Quando tutti lavorano volontariamente ai loro commerci, come l’acqua scende senza posa notte e giorno giù dalla collina, le cose appariranno anche se non richieste e le persone le produrranno come se nessuno le chiedesse. Chiaramente tutto questo è naturale e si accorda con la natura del dao“.

 

 

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