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Trovo interessante l’intervista di Formiche.net a Stefano Fassina sull’ulteriore cessione di una quota del 5% di Eni ed Enel, ma non la condivido per tre premesse culturali su cui poggia. Innanzitutto Fassina dice: “Non sono ostile in via pregiudiziale a processi di privatizzazione e all’intervento di capitali privati nel tessuto produttivo”. Questa affermazione sottende che i capitali privati nascano estranei al tessuto produttivo del paese ma che lui, Fassina, non è del tutto contrario che essi vi entrino o, perlomeno, non è contrario in via pregiudiziale, magari lo è dopo averci pensato su. Dunque, la concezione è quella di un tessuto produttivo per così dire demaniale, di proprietà dello Stato centrale e/o di quello regionale.

La seconda premessa per me grave è quando lui dice che “le forze politiche vogliono evitare di compromettere interessi strategici del nostro paese per una manciata di miliardi a breve termine”. È il termine strategico a preoccuparmi. Non che io non lo capisca in qualche caso preciso, ma la storia della politica industriale deteriore in Italia è costellata dall’abuso del concetto “settore strategico”. Quando un partito o un sindacato non sapeva come sostenere interessi corporativi o, peggio, quando un ministro magari socialista negli anni Settanta e ancor più negli anni Ottanta voleva giustificare l’acquisizione da parte dello Stato di un ramo deficitario di un’azienda privata, facendo così un regalo all’imprenditore privato bancarottiere e corruttore che voleva mollarla, ebbene quando ciò accadeva l’uomo pubblico di turno diceva che quell’impresa operava in un settore strategico. Anzi, accanto a strategico c’era un secondo concetto magico: le sinergie pubblico-privato. Al termine del primo esercizio, il privato non copriva le perdite e il ramo d’azienda rimaneva allo Stato. Così fu per la chimica, la siderurgia, l’alluminio, le fibre, eccetera. Vogliamo riportare aneddoti e nomi? Io sono prontissimo. E ora Fassina che dice? Che Eni ed Enel operano in settori strategici e che lui è non contrario alle… sinergie. Certo Eni ed Enel non sono in perdita, certo Fassina è un galantuomo, ma mi pare sia in ritardo di trent’anni e non abbia pianto abbastanza sulle ferite del paese.

La terza premessa grave è quando dice che vedrebbe bene una cessione del 40% di Poste o una presenza minoritaria di investitori cinesi. Fassina ammette cioè come privatizzazioni fattibili operazioni che privatizzazione non sono, visto che il controllo rimarrebbe nella mano pubblica. Questa continuerebbe a designare la compagine manageriale alla guida e gli uomini al comando, magari pure ex ottimi tecnici, continuerebbero a mostrare la loro concreta e fattiva gratitudine al politico che li ha messi sulle poltrone, come ho dimostrato per Poste e Rai sull’Espresso numero 34 della settimana scorsa. Fassina parla da una posizione critica verso il governo, ma a me pare che Renzi intraprenda alcune riforme più facilmente che altre. Certo, la semplificazione delle aziende pubbliche locali è rinviata. Perciò, restiamo al palo.

Io non mi stanco mai di dimostrare che, quando (al più presto) avrà aperto alla concorrenza tutti i mercati, lo Stato centrale e locale dovrà ritirarsi completamente, cedere non un 5% in più o in meno, ma tutto il controllo azionario e gestionale, e questo – mi creda Stefano Fassina – proprio nell’interesse collettivo, che a me liberaldemocratico sta a cuore non meno cha a lui. Vogliamo parlarne pubblicamente, con fatti, cifre, aneddoti, nomi e cognomi?

I tre errori di Fassina sulle privatizzazioni

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