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La situazione in Libia è caratterizzata da incertezza e violenza. I governi continuano a cambiare, ma non hanno il controllo della situazione. Le forze nazionali di sicurezza sono surclassate dalle milizie. Queste ultime non hanno deposto le armi. Spesso sono utilizzate dalle autorità centrali per neutralizzarsi l’una con l’altra. È un po’ quanto facevano i Borboni. Affidavano l’ordine pubblico alla criminalità organizzata, quando la polizia non riusciva a contrastarla.

LA MAPPA LIBICA DEI GRUPPI ARMATI

In Libia esistono centinaia di gruppi armati. Sono di vari tipi: tribali – specie nel Sud del Paese e nelle regioni berbere e tuareg – locali o cittadine – come le milizie di Zentan o di Misurata – e confessionali/islamiste, soprattutto in Cirenaica, come l’Ansar al-Sharia o la Brigata dei Martiri del 17 febbraio. Esistono anche altri gruppi più secolari, facenti capo ad ex ufficiali di Gheddafi o, soprattutto a Tripoli, alle classi medie stanche del caos dominante nel Paese. Sempre più evidente è il processo di aggregazione delle milizie islamiste da un lato, e di quelle più secolari, dall’altro. Rilevanti sono le ingerenza straniere. Il successo delle forze secolari in Egitto e in Algeria l’ha stimolato. La preoccupazione degli Usa e della Francia nei riguardi del terrorismo islamista dilagante dal Corno d’Africa, al Sahel e alla Nigeria, produce un crescente contrasto alla radicalizzazione della Libia.

LE MILIZIE DI HAFTAR

Le milizie fedeli all’ex-generale di Gheddafi, Khalifa Haftar, diffuse in tutto il Nord del paese, da Bengasi a Tripoli, hanno scatenato l’“Operazione Dignità”, volta a sradicare gli islamisti dal potere. Venerdì scorso, hanno attaccato a Bengasi la “brigata dei martiri”. Domenica, hanno incendiato a Tripoli il palazzo del parlamento, sede del Congresso Nazionale Generale, accusato dal generale di essere un covo d’islamisti e di mantenere la Libia nel caos. Haftar ha dichiarato la decadenza del Congresso. Ha affermato che gli subentrerà temporaneamente, fino alle nuove elezioni, la meno islamizzata Assemblea Costituente. Anche il governo rimarrebbe in carica, per sbrigare gli affari correnti.

UN PERSONAGGIO DISCUSSO

Il generale Haftar è un personaggio strano e discusso. Nato in Cirenaica nel 1949, partecipò ventenne al colpo di Stato di Gheddafi. Divenne generale e fu incaricato dell’occupazione della Striscia di Aouzou, contesa fra Libia e Ciad. Gli andò male. L’invasione si concluse con un disastro militare. Fu fatto prigioniero con i suoi 700 soldati. Ruppe allora con Gheddafi e costituì una formazione militare – “l’esercito nazionale libico” – sostenuta dalla CIA per effettuare dal Ciad raids contro la Libia del colonnello, divenuto “nemico pubblico n° 1” degli USA ai tempi della Presidenza Reagan. Conobbe una nuova serie d’insuccessi. A metà degli anni ’90 si rifugiò negli USA. Continuò a collaborare con la CIA. Quando nel febbraio 2011 scoppiò la rivolta anti-Gheddafi, si precipitò a Bengasi, proponendosi come comandante militare del governo provvisorio. Niente da fare. Era ritenuto troppo al servizio degli USA visti come il fumo negli occhi da molti capi della rivolta. Gli fu preferito un ex-ministro di Gheddafi, il generale Jounes, ucciso poi in circostanze poco chiare. Haftar si defilò per ricomparire alla fine del 2013, in cui annunciò la sua ferma decisione di battersi per l’interesse del popolo libico, contro gli islamisti, Fratelli Musulmani compresi. Ciò gli garantisce l’appoggio dell’Egitto e dell’Algeria, nonché degli Stati del Golfo, dichiaratisi preoccupati della diffusione del radicalismo in Libia.

IL RUOLO DEGLI USA
Gli Usa devono quasi certamente essere stati a conoscenza dell’“Operazione Dignità” a Bengasi e a Tripoli. Una settimana prima avevano schierato 200 marine in Sicilia, pronti a intervenire per proteggere l’ambasciata americana a Tripoli. Washington si sta impegnando sempre di più in Africa. È preoccupata che la Libia, con la sua ricchezza petrolifera, divenga base del terrorismo islamista.

PREVISIONI DIFFICILI

È impossibile prevedere che cosa capiterà. Il presidente del Congresso e il governo libico hanno chiamato a loro soccorso le milizie islamiche. Anche Hafter sta chiamando a raccolta i gruppi anti-islamisti. C’è il rischio di una nuova guerra civile; forse dell’intervento egiziano e algerino. La Libia è priva di coesione. Le istituzioni statali sono deboli. Non dispone di un esercito forte e popolare, che possa prendere il potere in caso di emergenza. Non solo! A differenza dell’Egitto e, in parte, anche dell’Algeria, la geografia del suo vasto territorio e la sua frammentazione storica ne rendono difficile il controllo. Ce ne siamo accorti durante il periodo della nostra occupazione coloniale. A rendere più difficili le cose, coloro che si oppongono a un’autorità centrale dispongono di un’efficacissima arma: la capacità di sabotaggio delle infrastrutture petrolifere e degli acquedotti, da cui dipende la vita stessa del paese. La frammentazione tribale, a cui si è sovrapposta quella confessionale, rende difficile ogni compromesso. I confini fra le varie realtà sono semplici linee tracciate sulla sabbia. Le tensioni fra le varie tribù sono state solo parzialmente attenuate dall’urbanizzazione. Gheddafi non aveva mantenuto il suo potere controllando territorio e popolazione con potenti forze armate, come avveniva nell’Egitto di Mubarak e nell’Algeria di Boumedienne. Anzi, cercava di indebolirle, poiché temeva un colpo di Stato, come quello che aveva fatto nel 1969. Il suo potere era basato su una rete di sofisticati e abilissimi accordi con i capi tribù. Le contrapposizioni oggi esistenti fra Tripoli, Bengasi e Misurata sono molto profonde. Sono difficilmente conciliabili, anche per la distribuzione difforme della popolazione e delle risorse. La Tripolitania ha il doppio della popolazione della Cirenaica, ma solo un terzo del suo petrolio. Inoltre la guerra civile ha fatto troppi morti. I vinti aspettano la vendetta. Gli islamisti hanno trovato un’ideologia che giustifica il loro potere. Gli elementi secolari non l’accettano.

SCARSO OTTIMISMO

Non si può essere molto ottimisti sul futuro della Libia. Disordini e tensioni continueranno. C’è solo d’augurarsi che non siano tali da compromettere i rifornimenti di petrolio e di gas, né gli interessi italiani nel Paese. L’Europa è assente, malgrado le gesticolazioni della Francia e degli idealisti che pensavano che la “primavera araba” segnasse il “sole” dell’avvenire della democrazia nell’Islam. C’è da sperare che non combinino ulteriori guai con interventi sconsiderati. Il radicalismo islamico in Libia non sarà sconfitto con una soluzione moderata come in Tunisia. Lo sarà verosimilmente con l’appoggio che gli elementi più secolari riceveranno dall’Egitto e dall’Algeria, entrambi preoccupati del diffondersi del contagio islamista. È comunque dubbio che il generale Khalifa Hafter possa risolvere il caos libico in tempi brevi. Le milizie islamiste sono ancora troppo potenti, mentre le forze a sua disposizione sono troppo divise.

Vi spiego come si può normalizzare l'infuocata Libia

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