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“La politica, che forse è la più spinosa delle scienze, per la difficoltà, sempre risorgente, di discernere ciò che vi è di stabile o di mutevole nei suoi elementi, presenta un fenomeno singolare e capace di far tremare ogni uomo saggio chiamato all’amministrazione dello Stato: il fatto cioè che tutto ciò che il buonsenso intravede sulle prime in questa scienza, come verità evidente, si rivela quasi sempre, quando l’esperienza ha parlato, non soltanto falso, ma funesto”.  Parola del Conte Joseph De Maistre (1753-1821), insigne reazionario e, come ogni reazionario, perfettamente consapevole della storia e del presente: chi re-agisce al suo presente è costretto ad assimilarlo per poi superarlo.

Ebbene, quanto osservato da De Maistre è lo scenario della politica italiana: domina la scontatezza e, intanto, la palude diventa il permanente presente. E, si sa, l’acqua stagnante imputridisce.

Le provinciali e chiozzotte polemica su “Renzi sì/Renzi no”, sulla consistenza reale di Grillo e dei suoi adepti e sul crollo del centrodestra berlusconiano, fanno ridere i polli e richiamano molte canzoni di Gaber sul devastante contagio dell’imbecillità. Non ci siamo proprio, e da tempo.

Parliamo di “politica” – qualcuno addirittura di “grande politica”: e sarebbe? -, senza tenere in benché minima considerazione la storia. Chiediamo aiuto a De Maistre, anche in questa circostanza: la storia è politica sperimentale. Ma vale anche il contrario: la politica è storia, più che sperimentale, sperimentata nei fatti. E qual è stato l’esperimento galileiano comprovato a tutto tondo? Eccolo: la distruzione degli assetti politici negli anni ’90 del secolo scorso.

Il nostro presente è frutto di questa storia. Berlusconi è figlio del crollo del sistema politico e partitico italiano, voluto dalla grande finanza internazionale alleatasi con la magistratura, in grande spolvero; questa pseudo-sinistra è il frutto, non del crollo del fatidico Muro di Berlino nel 1989 (questa è pre-istoria), ma dei nuovi riassetti voluti da questo marchingegno finanziario-giudiziario, diffuso come il veleno nelle vene degli italiani con una campagna di guerra mediatico-giudiziaria. Non ci sono voluti neanche i carri armati nelle piazze, è bastato l’input esterno e la direzione dall’esterno di questa megamacchina completamente visibile – niente complottismi – e a molti autorevoli personaggi delle élites nazionali corrivi e quasi consanguinei. Tutto qua (si fa per dire…).

Da allora – entriamo nella fase calda dei trattati europei, dicasi Maastricht, 1992: sarà un caso? -, noi siamo nella merda fino al collo. Tutto qua (ancora, si fa per dire…).

Il ventennio berlusconiano avrebbe dovuto riparare i tetti e le fondamenta, ma era impossibile nelle cose e infatti, secondo la ben nota legge di Murphy, se qualcosa può andar male, lo farà. E possiamo anche rincarare la dose – con Murphy alla mano -: Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a guasto o errore, allora prima o poi esso si verificherà. Entrambe le situazioni qui descritte si sono puntualmente realizzate: poteva andar male tutto, e infatti tutto è andato in vacca: zero riforme, lotta all’ultimo sangue su Berlusconi, guerra tra Berlusconi e i magistrati, guerra a fasi alterne, sempre rieditate in maniera diversa, tra Berlusconi e il Quirinale, insomma il nostro Iraq quotidiano. Perché?

Semplice (ma non facile da digerire, evidentemente): la storia non è una parentesi e, se digrigni i denti contro la storia, questa ti mette all’angolo come in quelle battaglie tutto muscoli e sangue nelle gabbie, che vanno tanto oggi. Il “come se”, in questo caso, non funziona: fare “come se” tutto fosse a posto; tutto potesse essere “riformato” in un bagno di sangue e senza rifornimento in laboratorio: etc. etc.

Allora, mentre a destra qualcuno produce elzeviri sulle “palombelle azzurre” e a sinistra qualcun altro analizza la vittoria di Renzi con un “bene, sì, ma…”, pensando di rimanere in vita in questo ospedale da campo, un manager in pullover, tal Marchionne Sergio, AD di Fiat-Chrysler, a Trento, osserva: “In Italia e in Europa abbiamo reagito malissimo allo stimolo di cambiamento imposto dalla crisi. Nel nostro Paese continuiamo a ripetere che la produttività scende; guardiamo le slide e poi andiamo a cena”. Chiaro il messaggio?

Confindustria, per Marchionne, tra un pò è peggio dello Stato (giusto) e per lui si va piatti aggirando l’Europa “calvinista” e ottusa della luterana-comunista (sconfitta) Merkel, anche perché c’è un’unica soluzione da implementare, direbbero i manager, e subito: stampare moneta. Se non si fa, io me ne frego e continuo a fare il capitalismo. Cioè…faccio politica, perché far ripartire il motore dell’economia è l’unica politica che funzioni. l’unica soluzione all’altezza della storia – alleanza De Maistre-Marchionne: evviva i reazionari! -, il resto, riforme incluse, è fuffa. Primum vivere. Non riformerò mai un cadavere, al massimo gli farò l’autopsia, per vedere di cosa sia morto, tutto qua (e qui non si fa per dire: è tutto qua).

Ergo: Marchionne for President.

Infischiandomene del suo endorsement a Renzi. Un manager col pullover come lui, quando sostiene un altro, sostiene sempre se stesso. Non Pereira.

Marchionne for President

  "La politica, che forse è la più spinosa delle scienze, per la difficoltà, sempre risorgente, di discernere ciò che vi è di stabile o di mutevole nei suoi elementi, presenta un fenomeno singolare e capace di far tremare ogni uomo saggio chiamato all'amministrazione dello Stato: il fatto cioè che tutto ciò che il buonsenso intravede sulle prime in questa…

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