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Non stupisce che Vignarca e company, un sodalizio di associazioni pacifiste più rumoroso che folto, continui con il fuoco di sbarramento sulla legge 185/90 e sulle iniziative parlamentari volte ad avviare una serie di miglioramenti all’attuale disposto di legge. Fanno semplicemente il loro lavoro.

Quello che stupisce è che sull’argomento non ci sia dibattito pubblico, né tanto meno consapevolezza e quindi cultura, con il risultato che le tesi a volte esclusivamente ideologiche di Vignarca e seguaci divengano la narrativa dominante e acquisiscano proseliti a non finire a cominciare dal mondo politico, stranamente collocato per l’occasione in un campo largo.

Nello specifico, l’impegno del momento dei paladini della pace a prescindere e senza condizioni, è quello di aprire un robusto fuoco di sbarramento sulle attività parlamentari ergendosi ad istituzione dello Stato, a partito politico di opposizione, quasi che le piazze non siano più il loro unico e naturale ambiente. “Impugneremo il testo di legge, se questa formulazione verrà confermata fino alla fine” confida Vignarca ad Avvenire.it del 18 gennaio. Impugneremo?Dove, e con quale potestà?

I temi del dibattere riguardano in particolare la reintroduzione del Cisd (Comitato interministeriale per lo scambio di armamenti per la Difesa) nel processo decisionale sull’autorizzazione delle operazioni commerciali di esportazione ed il ruolo degli istituti bancari nel finanziamento di dette attività.

Nel primo caso chiunque, con un minimo di senso dello Stato o, in assenza di questo, con un minimo di raziocinio, plaudirebbe al fatto che le decisioni finali circa una attività di esportazione di materiali della Difesa siano allocate presso un consesso di Ministri di rango sotto la guida del vertice di governo, anziché nell’ufficio di un funzionario della Farnesina di medio livello cui le pressioni politiche, mediatiche o appunto del pacifismo, finiscono per inibire le capacità di discernimento e decisione.

E se non ci vuole molto a capire questo primo punto, ancora più agevole risulta la comprensione del secondo.

Agli inizi del 2000, tre istituti bancari decisero di sospendere le operazioni di finanziamento delle esportazioni di armamento.
A nulla valsero, in una apposita riunione convocata a Palazzo Chigi, cui parteciparono presidente e direttore generale di Abi di allora, Sella e Zadra, le argomentazioni volte a far recedere gli istituti bancari dalla decisione, che tra l’altro riguardava attività perfettamente allineate al disposto di una legge italiana, appunto la 185/90.

A nulla valse soprattutto l’avvertimento che così facendo le banche, ed il movimento pacifista dietro di loro, avrebbero realizzato una perfetta eterogenesi dei fini. Infatti, venendo a mancare le informazioni sui finanziamenti da parte di queste banche e non essendo gli istituti stranieri cui le società esportatrici si sarebbero rivolte tenute a relazionare il governo italiano, la Relazione annuale del governo al Parlamento sarebbe risultata monca di un allegato importante, quello delle operazioni bancarie degli istituti obiettori, e quindi l’intera attività avrebbe perduto un importante dato di controllo. E di trasparenza nella percezione pacifista.
Di fatto, non solo i tre istituti non recedettero dalla loro decisione, ma il fenomeno che poi prese il nome di “banche armate”, si estese considerevolmente fino ad oggi in cui Vignarca e company lamentano la possibile omissione dell’indicazione degli istituti bancari nella Relazione Annuale.

Chi è causa del suo mal pianga sé stesso verrebbe da dire.

In conclusione, sarebbe giunto il momento per il nostro Paese di avviare, dopo queste prime schermaglie, una revisione seria della 185/90, una revisione che tenga conto della vera rivoluzione occorsa dal 1990 ad oggi nelle relazioni internazionali e negli equilibri geopolitici, una revisione che possa contare su un riequilibrio delle parti in causa nei processi autorizzativi, in cui la politica si riappropri delle sue prerogative rioccupando gli spazi che per troppi anni ha lasciato al movimentismo, anche per questo divenuto un fattore serio di inibizione della volontà dello Stato e della tutela dei suoi interessi.

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