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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’intervista di Giovanni Bucchi e Lanfranco Turci apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Non ha più il controllo sociale di un tempo. É diventata una semplice associazione di categoria come tante altre, scavalcata nei rapporti politici dalle stesse cooperative che rappresenta, diventate talmente grandi che la loro tendenza cesaristica è ormai inarrestabile. Lanfranco Turci, uomo di sinistra che però non ha mai aderito al Pd, ex presidente della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, più volte deputato e sottosegretario nel secondo Governo D’Alema, analizza come sia cambiato oggi il ruolo di Legacoop, l’organizzazione di riferimento delle cooperative rosse, alcune delle quali sono finite nell’inchiesta sugli appalti all’Expo di Milano. Settant’anni e coordinatore del Network per il socialismo europeo, Turci, di origini modenesi, è stato presidente di Legacoop nazionale dal 1987 al 1992.

Domanda. Presidente Turci, che effetto le fa vedere importanti coop rosse finite nei faldoni dell’inchiesta della Procura di Milano sull’Expo con importanti dirigenti indagati?

Risposta. Nella misura in cui i grandi affari continuano ad avere mediazioni improprie, è inevitabile che in questo contesto si possano trovare insieme sia imprese private che imprese cooperative. Se per giocare in quel mercato c’è la possibilità di giocare con regole di favore, chiunque vi si trovi all’interno può usufruirne, cooperative comprese. Onestamente, non sono stupito di tutto questo, ma non sto parlando in termini morali.

D. Dunque, è inevitabile che anche le coop siano accusate di pagare tangenti?

R. Il termine inevitabile è una modalità di assoluzione che non mi sentirei di esprimere, ma purtroppo quel meccanismo c’è. La vera novità credo consista nel fatto che, negli anni più lontani, c’era un rapporto più diretto delle coop con la politica e con i partiti, mentre oggi l’impressione è che si tratti di meccanismi molto più indiretti e che nascono da aggregazioni di personaggi con particolari capacità che, quando occorre, si agganciano alla politica. Da quel che si capisce, alcuni mercati continuano ad essere mediati da lobby che stanno tra la politica, la burocrazia e i mediatori di affari.

D. Come è cambiata la Legacoop rispetto a quando lei è stato presidente fino all’inizio degli anni ’90?

R. Già all’epoca avevo avanzato la mia critica a una tendenza cesaristica delle grandi cooperative, soprattutto quelle nel campo dell’edilizia, delle infrastrutture e del consumo. Si vedeva già nettamente una tendenza alla concentrazione del potere in capo ai singoli manager di una singola cooperativa, con uno svuotamento progressivo delle forme di democrazia interna. Sia chiaro, noi adesso parliamo dei grossi colossi con migliaia di soci, ma non dimentichiamoci che ci sono tante piccole cooperative che funzionano normalmente. Prima ancora del mio arrivo in Lega, c’era comunque un rapporto con la politica, e in particolare con il partito di riferimento della sinistra quale era il Pci, in cui lo stesso partito garantiva una sorta di controllo sociale sulla cooperazione. Intendo dire che un presidente o un dirigente di una coop rossa o un manager non poteva, ad esempio, assumere forme di potere o redditi eccessivi, vista la cultura di riferimento della sinistra. Lo stesso discorso del cesarismo delle varie coop era meno marcato. Il rapporto tra Lega e partito però si è allentato nei decenni, a scapito del potere manageriale che è sempre più aumentato.

D. Adesso quindi è il partito, in questo caso il Pd, che ha bisogno delle grandi coop e non più il contrario? E la Legacoop viene tagliata fuori?

R. In certi mercati in qualche modo protetti o comunque infiltrati da gruppi di potere, un qualche rapporto con la politica è sempre necessario. Il mondo cooperativo della Lega nasce dalle formazioni politiche legate alla sinistra, con il primo socialismo dei tempi giolittiani per riprendere poi dopo la caduta del fascismo. Ma, in quegli anni, non c’era questa corruzione, il vincolo era il rapporto di solidarietà, che si è diluito per i cambiamenti enormi che ci sono stati, a partire dalla minore presa ideologica dei partiti. Così anche la presa dell’organizzazione Legacoop sulle varie cooperative è diminuita. La Lega era l’interlocutore nei confronti dei partiti della sinistra, negli anni invece il rapporto è diventato più diretto tra singola cooperativa e partito, o tra singola cooperativa e pezzi di un partito.

D. Qual è quindi il ruolo oggi di un’organizzazione come la Legacoop?

R. Si è progressivamente trasformata in un luogo classico di rappresentanza sindacale e istituzionale su temi come legislazione e fisco, mentre nelle operazioni di mercato il peso dell’associazione è diminuito progressivamente. Adesso è prima di tutto un’associazione di interessi di imprese cooperative, come tante altre. Questo ha diminuito il controllo sociale del partito sulla Lega, e della Lega sulle singole cooperative, e ha diminuito anche l’autorevolezza politica dell’organizzazione nei confronti delle sue associate e del partito, autorevolezza che è via via scemata. La ‘moral suasion’ che l’associazione un tempo poteva fare verso le imprese cooperative, oggi non c’è più.

D. Però il premier Matteo Renzi ha scelto l’ex presidente di Legacoop Giuliano Poletti come ministro del Lavoro, in un Governo che riceve molte critiche da sinistra

R. Ma anche le coop cosiddette rosse oggi con la sinistra non hanno più elementi di identità molto stretti. La dirigenza delle coop non ha più un rapporto sistematico con il partito di sinistra.

D. Presidente, cosa voterà alle elezioni europee?

R. Non voterò il Pd, prima di tutto perché credo che la segreteria di Renzi sia un modo ulteriore per spostare il partito al centro e contemporaneamente uno smottamento delle istanze del partito come comunità e collettivo. Voterò la lista per Tsipras, anche se per me l’ideale sarebbe stato votare Sel con Schulz come candidato alla presidenza della Commissione europea.

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