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Vi è innanzi tutto un primo gruppo di lavoratori, quelli che percepiscono un reddito lordo annuale inferiore agli 8mila euro circa (pari ad un reddito netto mensile di circa 600 euro), che attualmente rientrano nella no tax area, ovvero coloro per cui l’imposta non è dovuta in quanto l’ammontare della detrazione (attualmente pari a 1880 euro) supera l’imposta lorda annuale che questi soggetti dovrebbero pagare. Si tratta dei lavoratori cosiddetti “incapienti”, in quanto il loro livello di reddito è tale per cui non sono tenuti pagare l’Irpef, ma allo stesso tempo non possono usufruire per intero della detrazione loro spettante, in assenza di trasferimenti dallo Stato che li compensino per il mancato benefi cio. Un aumento della detrazione sul lavoro dipendente non avrà pertanto alcun effetto sul reddito di questi lavoratori, i quali anche in presenza di una maggiore detrazione, continueranno a non pagare l’imposta come in precedenza. Il beneficio per loro è quindi nullo.

I lavoratori con reddito superiore alla no tax area avranno invece un benefi cio che varierà in funzione di come sarà implementato lo sgravio. Le informazioni attualmente disponibili puntano ad un aumento della detrazione fi ssa da 1880 euro a 2400 euro, che si estenderebbe fi no alla soglia di 20 mila euro lorde l’anno. Questo comporterebbe un allargamento della no tax area, che andrebbe a toccare fi no ai redditi inferiori a circa 10400 euro lorde l’anno. La detrazione dovrebbe poi decrescere fi no ad annullarsi a 55 mila euro lorde l’anno.

Al di là dell’incidenza del beneficio sul reddito mensile attuale, le dichiarazioni del Presidente del Consiglio puntano ad una riduzione dell’Irpef che riguarderà tutti i lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro dipendente pari a circa 25 mila euro lorde all’anno. In termini di reddito netto mensile, la fascia di lavoratori interessata dallo sgravio comprende i redditi che vanno da poco più di 600 euro al mese fi no a circa 1500 euro al mese.

Basandoci su queste ipotesi possiamo utilizzare l’indagine sulle Forze Lavoro dell’Istat, che dal 2010 ha reso disponibili i dati sulle retribuzioni percepite dagli occupati dipendenti, per stimare il numero di lavoratori che potrebbero beneficiare del taglio dell’Irpef. Prendendo in considerazione il secondo trimestre 2013, ed escludendo coloro che hanno lavorato meno di 6 mesi (ovvero i lavoratori stagionali o chi ha lavorato in modo discontinuo, il cui reddito è per forza di cose inferiore a quello interessato dalla misura), la platea supera di poco i 10 milioni, un numero molto vicino quindi a quanto indicato dal governo. È allora possibile approfondire l’analisi e cercare di capire le caratteristiche di questo gruppo di beneficiari. Come si osserva dalla tabella allegata essi si dividerebbero quasi equamente tra uomini e donne; la maggior parte (oltre il 70 per cento) risiede al Centro-nord e circa un quarto al Sud; sono prevalentemente di cittadinanza italiana, ma il 13 per cento circa (1.3 milioni di persone) sarebbero stranieri.

Data la loro rilevanza nell’occupazione, questi ultimi andrebbero quindi a beneficiare maggiormente della manovra. Il taglio dell’Irpef andrà poi a incidere soprattutto sulle classi d’età centrali, anche perché i più giovani, all’inizio della loro carriera lavorativa, tendono ad avere retribuzioni più basse; mentre per i più anziani si osserva l’esatto contrario, dal momento che esistono gli scatti di anzianità e che le retribuzioni sono generalmente legate all’esperienza lavorativa.

Relativamente al settore di appartenenza, saranno i dipendenti dell’industria in senso stretto e delle costruzioni i principali destinatari della detrazione fi scale (l’ultima colonna della tabella mostra infatti un indice superiore a 1). Se così fosse sarebbe un buon risultato, dal momento che questi sono i settori che hanno sofferto di più nel corso dell’ultima recessione. In termini assoluti, si deve però osservare che circa i due terzi dei potenziali beneficiari lavora nel settore dei servizi e in particolare 2.5 milioni nel settore della pubblica amministrazione, dell’istruzione e della sanità, dove è elevata la presenza di enti pubblici.

Parte di questi dipendenti potrebbe quindi trovarsi ad avere uno sgravio fiscale, nonostante per il comparto pubblico dal 2010 sia in vigore il blocco delle retribuzioni (oltre a quello del turnover). Dato che dal punto di vista logico le tasse pagate dai dipendenti pubblici e le retribuzioni da queste ricevute dallo Stato sono una sorta di partita di giro, ne deriva un conflitto fra le due politiche: dopo avere ridotto il potere d’acquisto di questi lavoratori via blocco delle retribuzioni, lo sgravio interviene “restituendo” di fatto quanto sottratto con il blocco salariale e l’unica differenza è che esso figura nei conti dello Stato come minori entrate piuttosto che come maggiori spese.
La manovra dovrebbe interessare i dipendenti con reddito medio basso; in effetti secondo le nostre stime, tra i dipendenti che non verrebbero interessanti dal taglio dell’Iperf meno del 30 per cento appartengono alle fasce di reddito inferiori alla soglia minima indicata dal governo, mentre la maggior parte (il 71.6 per cento circa) hanno redditi superiori alla soglia massima.

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Vi è innanzi tutto un primo gruppo di lavoratori, quelli che percepiscono un reddito lordo annuale inferiore agli 8mila euro circa (pari ad un reddito netto mensile di circa 600 euro), che attualmente rientrano nella no tax area, ovvero coloro per cui l’imposta non è dovuta in quanto l’ammontare della detrazione (attualmente pari a 1880 euro) supera l’imposta lorda annuale…

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