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Quella di venerdì nello Studio Ovale è stata davvero “una grande pagina di televisione”, come il presidente statunitense Donald Trump ha definito il suo acceso scambio a favor di telecamere con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky? Lo abbiamo chiesto all’ambasciatore Michele Valensise, presidente dell’Istituto affari internazionali e già segretario generale della Farnesina.

Sul piano diplomatico, a che cosa abbiamo assistito ieri?

Ieri abbiamo assistito a un incontro assolutamente irrituale e senza precedenti, sia per la forma sia per la sostanza. Da un lato, la scelta di adottare un formato pubblico ha rappresentato un netto ribaltamento degli schemi tradizionali. Inedita è stata la partecipazione, molto assertiva, del vicepresidente JD Vance. Inoltre, la Casa Bianca ha deliberatamente trasformato l’incontro in un momento spettacolare, come sottolineato con un certo compiacimento dallo stesso presidente Trump. Sono tutti elementi nuovi e in sintonia con lo stile comunicativo che lo ha sempre contraddistinto.

E riguardo alla sostanza?

La sostanza dell’incontro si è rivelata del tutto deludente per Zelensky, che sembrava convinto di poter trovare ascolto e di indurre la Casa Bianca a riconsiderare le proprie posizioni negoziali in linea con le aspettative ucraine. L’incontro, invece, è andato in ben altro senso: l’umiliazione subita da Zelensky ha messo in luce la crescente distanza non solo tra Washington e Kiev, ma anche tra Stati Uniti e Europa.

È un messaggio anche all’Europa?

Le durissime argomentazioni usate dalla Casa Bianca con il presidente ucraino dovranno spingere a riflettere anche gli europei che in questi tre anni hanno sostenuto politicamente, economicamente e militarmente l’Ucraina insieme agli Stati Uniti. Il messaggio, infatti, risuona chiaro anche tra i leader europei, che hanno reagito immediatamente a questo cambio di paradigma.

Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha dichiarato che “ogni divisione dell’Occidente ci rende tutti più deboli e favorisce chi vorrebbe vedere il declino della nostra civiltà. Inoltre, ha proposto un immediato vertice tra Stati Uniti, Stati europei e alleati “per parlare in modo franco di come intendiamo affrontare le grandi sfide di oggi, a partire dall’Ucraina”. Come valuta questa dichiarazione?

È formulata in vista dell’incontro di oggi a Londra e del Consiglio europeo straordinario di giovedì a Bruxelles e rappresenta uno stimolo per gli europei. La strada da percorrere è tutt’altro che semplice, vista la pluralità di sensibilità che caratterizza l’Unione europea. Tuttavia, è indispensabile che l’Europa prenda in mano il proprio destino anche dal punto di vista strategico e della difesa. Sono passi che non possono più essere rinviati, siamo stati sollecitati dagli Stati Uniti già da tempo, la questione non nasce con dall’amministrazione Trump, che ora ricorre a forme brutali.

E se l’Europa non agisce in questa direzione?

In alternativa, l’Europa sarebbe condannata a restare ai margini del nuovo equilibrio globale, riducendo il proprio ruolo a quello di semplice spettatore o di un fragile “vaso di coccio” circondato da “vasi di ferro”.

Nei giorni scorsi Sir Alex Younger, già capo del Secret Intelligence Service (o MI6), il servizio segreto britannico per l’estero, ha definito quella attuale un’era degli uomini forti, citando i leader cinese Xi Jinping e russo Vladimir Putin ma anche il presidente americano Trump. In questo scenario, anche l’Unione europea ha bisogno di un leader forte?

Siamo diversi dalla Russia di Putin e dalla Cina di Xi. E ora rischiamo di essere anche un po’ diversi dai nostri alleati. Dobbiamo certamente continuare a essere un’Europa plurale che tuttavia, pur riconoscendo le diversità interne, sappia esprimere una politica estera coesa.

Con quale rapporto con la Nato?

La Nato ha dimostrato notevoli capacità nell’arco dei suoi 75 anni di vita. Ora è necessario ripensare gli equilibri in seno all’Alleanza, con un rafforzamento del pilastro europeo, per consentirle di svolgere al meglio la sua funzione difensiva.

All’Europa serve una politica estera coesa. Parla l’amb. Valensise

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