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Nella vicenda della Ucraina siamo arrivati alle sanzioni, da parte degli Usa e della Unione europea.

LE DECISIONI AMERICANE

Il 14 marzo scorso il Presidente americano Barak Obama ha annunciato che non si procederà al riconoscimento delle conseguenze del referendum popolare che ha portato la Crimea a congiungersi alla Russia. Inoltre, ha firmato l’Ordine Esecutivo 1661 con cui viene data al Dipartimento del Tesoro la facoltà di individuare i funzionari del Governo russo, le istituzioni da questo direttamente o indirettamente controllate e le persone dell’inner circle che abbiano dato supporto a questa azione provocatoria. La sanzione è il congelamento dei beni detenuti negli Usa.

LA POSIZIONE EUROPEA

A sua volta, il 17 marzo scorso il Consiglio dei Ministri della Unione europea ha adottato la decisione 2014/145/CFSP, concernente la adozione di misure restrittive nei confronti delle azioni che minano o minacciano la integrità, la sovranità e l’indipendenza della Ucraina. Anche in questo caso si tratta del divieto di accesso e di transito alle persone considerate responsabili di tali atti e del congelamento dei beni da loro detenute. Quindi, il 20 marzo, il Dipartimento del Tesoro americano ha stilato una prima lista di lista di sedici persone cui si applicano le sanzioni, cui è stata aggiunta la Banca Rossija.

GLI OBIETTIVI DELLA STRADA SELETTIVA

Invece delle sanzioni economiche basate sulla imposizione di dazi all’import o al divieto di export, che avrebbero avuto effetti generalizzati sull’economia e sui cittadini di entrambe le parti, si è preferita la strada selettiva: sanzionare le singole persone ed i rispettivi beni. L’obiettivo delle sanzioni, che potrebbero estendersi ad ulteriori soggetti, dovrebbe minare la coesione del gruppo dirigente russo: colpito nel portafoglio, o minacciato di esserlo, si creerebbe una sorta di opposizione interna. Addirittura è stato anche suggerito di forzare subito la mano sui beni detenuti all’estero dai cosiddetti oligarchi russi, colpendo anche coloro che non sono direttamente coinvolti nel sostegno al Governo russo: sarebbero costoro a far fuori la attuale dirigenza russa. Questa, almeno, è la strategia.

LA QUESTIONE DEI CAPITALI RUSSI

La questione si presenta però in modo più articolato. E’ da anni che il Presidente russo Putin sta cercando di riportare in patria o comunque in Stati fiscalmente trasparenti le ingenti risorse russe che sono state occultate nei paradisi fiscali per contribuire allo sviluppo economico del Paese. L’obiettivo, con un brutto neologismo, è stato denominato de-offshore-zation. Per quanto possa apparire paradossale, il bail-in del sistema bancario cipriota deciso dalla Unione europea, che ha pesantemente colpito i depositanti, può essere stato di forte sostegno a questo indirizzo, visto che lì si nascondevano cospicui capitali russi sotto altra copertura. Inoltre, è convergente la lotta ai paradisi fiscali che conducono con determinazione sia la amministrazione statunitense sia l’Unione europea. Non solo i capitali russi nascosti nei paradisi fiscali non hanno tregua da nessuna parte, ma ora anche quelli trasparentemente localizzati nei Paesi della white list potrebbero temere sanzioni finanziarie.

UNA NUOVA LISTA FALCIANI MADE IN RUSSIA?

C’è un ulteriore aspetto da considerare: in via ipotetica, le risorse congelate alle persone individuate nelle liste potrebbero essere il frutto di attività non rilevate ufficialmente. Per ora si sanzionano le persone fisiche per via del supporto dato al Governo russo e si ordina di congelare i loro beni senza rivelare se davvero dispongano di capitali all’estero e di quale entità si tratti. Se un tale dato dovesse essere rivelato successivamente, magari rivelando la disponibilità di cospicui capitali da parte di persone che non possono giustificarle come frutto di operazioni fiscalmente e finanziariamente trasparenti, è facile immaginare i contraccolpi politici in Russia. Sarebbe come rendere nota una sorta di lista Falciani, dove ci sono le disponibilità delle persone più vicine all’establishment.

LA PARTITA A SCACCHI SOLO ALL’INIZIO

Per un verso, quindi, le sanzioni puntano a creare una frattura interna al gruppo dirigente russo, che viene colpito nelle proprie disponibilità finanziarie all’estero affinché reagisca e si adoperi affinché cessino i motivi di tensione sull’Ucraina. Al contrario, si potrebbe verificare l’opposto: accelerare il rimpatrio di capitali in Russia, soprattutto di quelli non dichiarati, prima che scattino ulteriori sanzioni da parte occidentale. Si eviterebbero entrambi le sanzioni: quella finanziaria occidentale e quella politica all’interno. E’ esattamente l’obiettivo che il presidente Putin persegue da tempo: sapere chi ha capitali fuori e farli rientrare.

E’ una partita a scacchi, di cui conosciamo solo l’apertura.

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