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Se la crisi in Ucraina rappresenta un difficile banco di prova per tutta la comunità internazionale, tanto più questo vale per il governo italiano. Matteo Renzi si è insediato a Palazzo Chigi da pochi giorni e si trova a dover esordire in politica estera con la minaccia di una guerra che geograficamente è laterale per l’Europa ma che politicamente è centralissima agli equilibri del vecchio continente. In gioco c’è l’idea stessa di unitarietà della Ue ma anche i rapporti con Mosca e l’Alleanza Atlantica.

Il giovane premier non poteva ignorare la gravità della situazione in Crimea e così ha convocato un vertice cui hanno preso parte i ministri degli esteri e della difesa, Federica Mogherini e Roberta Pinotti, ed anche i vertici della sicurezza nazionale, l’autorità delegata Marco Minniti ed il direttore del Dis Giampiero Massolo.

La squadra, va detto, è di tutto rispetto e contempla significative competenze. Alla fine, un comunicato ha sintetizzato la posizione italiana. Da una parte, si condanna la Russia e la sua escalation militare (l’invasione, cioè la guerra, sarebbe un esito “inaccettabile”) e dell’altra – “al tempo stesso” – si invita Kiev a non meglio precisato “sforzo volto alla stabilità e alla pacificazione del Paese nel rispetto della legalità e della tutela delle minoranze” (!).

Mentre i governi di Francia e Gran Bretagna hanno annunciato il boicottaggio del prossimo G8 che dovrebbe svolgersi a Sochi e mentre gli Usa minacciano ben più importanti ritorsioni, Renzi preferisce restare fedele ad una linea praticamente ammiccante con Putin. Che sia stata la linea suggerita dai diplomatici o che si tratti dell’istinto del premier, è difficile dirlo. Di certo c’è che per troppo tempo, nella prima e nella seconda repubblica (in modi molto diversi fra loro), il nostro Paese ha tentato di perseguire una politica ambigua di equavicinanza. Il risultato, da quando è crollato il muro di Berlino, non è stato particolarmente soddisfacente.

Le esigenze commerciali di breve termine hanno prevalso sulla visione strategica annebbiando la capacità di identità del nostro interesse nazionale. Il cerchiobottismo nella nostra politica estera dovrebbe essere oggetto di una netta rottamazione che, in questa prima occasione, non abbiamo visto. I confini dell’Europa e della stessa Nato sembravano potersi dilatare senza confini ma la teoria della fine della storia è fallita.

Patto atlantico e patto di Varsavia (resuscitato di fatto dalle mire di Putin) non sono compatibili fra loro. Il “ma anche” non può reggere. Provaci ancora Matteo: cambia verso.

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