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Il governo Renzi, ormai pienamente in carica dopo la fiducia di ieri, è entrato nel pieno della sua attività.
La prima osservazione doverosa deve riguardare la composizione stessa dell’esecutivo e della maggioranza che lo sostiene. Si tratta di un governo di coalizione, dominato da una forza prevalente, il Pd, e da una serie di formazioni moderate capeggiate dall’Ncd. Questa singolare coalizione ha due opposizioni responsabili e una protestataria: le prime due sono rispettivamente una di destra e l’altra di sinistra. La seconda, invece, è il M5S.

Se si osserva bene il quadro generale, Renzi ha una piattaforma politica “centrista”, la quale per sua stessa natura occupa uno spazio moderato rispetto a sollecitazioni radicali che sono, in modo diverso e antitetico, all’opposizione. E’ questo un primo dato importante che depone a favore della plausibile governabilità.

Con ciò non intendo dire che sia possibile governare unicamente con maggioranze di centro, ma che l’estromissione di una bipolarità estrema, sia interna e sia esterna, è garanzia di maggiore stabilità, soprattutto perché accompagnata, in questo caso, da un consapevole superamento politico e storico della logica della Seconda Repubblica, costruita, per l’appunto, attorno all’assioma del bipolarismo estremo e alternativo.

E’ rilevante, ad esempio, che, per ragioni diverse, né Berlusconi né Vendola hanno dichiarato guerra alla maggioranza, mettendosi piuttosto in una posizione interlocutoria di attesa, rispondente a un atteggiamento di sfiducia critica. La novità di rilievo, di conseguenza, è il superamento non costituzionale ma sostanziale della lunga fase di emergenza, sopravvenuta dopo Mani Pulite e durata per oltre vent’anni.

Davanti a questa inedito scenario, è bene, quindi, non riporre eccessiva fiducia nel cammino a tappe forzate delle riforme promesse da Renzi. Non tanto perché egli e i suoi ministri non siano animati da buone intenzioni, ma perché il sistema, così com’è, non agevola assolutamente la sua riformabilità. Per capirsi sarà difficile, anche se non impossibile, veder avverata se non in minima parte la defiscalizzazione, la riforma della giustizia, del lavoro e così via.  Non certo nel calendario mensile promesso dal premier. Potrebbe essere avviato, comunque, un processo irreversibile, anche se non facilmente completabile in questa Legislatura, in grado di farci uscire dalle sabbie mobili.

Quello che, invece, l’attuale esecutivo riuscirà a fare materialmente è qualcosa addirittura di più importante: porre fine a una fase storica deleteria sotto ogni punto di vista, facendoci entrare ancora vivi in un nuovo contesto culturale più fruttuoso.

Gli ultimi due decenni hanno prodotto, infatti, unicamente la distruzione dello Stato, senza alcun beneficio per la gente comune. Abbiamo assistito a una trasformazione delle istituzioni pubbliche in mezzo per l’affermazione politica esclusiva di due classi sociali distinte e mal rappresentate dalla sinistra e dalla destra. La distruzione dello Stato, ridotto a una burocrazia potentissima, parassitaria e costosa, ha trovato nelle privatizzazioni mal fatte e nell’occupazione dei posti di potere degli uni e degli altri un terreno naturale e fertile che ci ha portato sul baratro del fallimento. La pretesa erronea di tutti è stata che l’egemonia di un gruppo sull’altro avrebbe garantito un rafforzamento della società. Ebbene, ci siamo sbagliati! Anche il tessuto connettivo della nazione, infatti, si è polarizzato e frammentato, mettendo in moto una disgregazione che ha reso praticamente impossibile qualsiasi iniziativa pubblica e privata.

Da Renzi è cruciale attendersi quantomeno la fedeltà a questa grande speranza collettiva: ristabilire lo Stato nella sua funzione autorevole di governo concreto delle cose; e, dal rafforzamento dell’autorità politica di gestione normale dei problemi, operare la rigenerazione del composto connettivo della società massacrato dalla fossilizzazione inamovibile degli interessi corporativi.

In sintesi, se il dogma della Seconda Repubblica, “meno Stato e più società”, è fallito miseramente, portandoci allo scontro frontale e all’immobilismo di bande contrapposte di potere che hanno paralizzato l’intera comunità, ecco che la Terza deve nascere sotto la buona stella di un governo forte che unifichi e riproduca la società attraverso la soluzione dei problemi più gravi e urgenti.

Un grande ruolo spetta, in questo contesto, all’Ncd. Non soltanto perché con tre ministri incidenti può far valere le istanze moderate del ceto produttivo, ma perché, senza più l’incubo della difesa d’ufficio di Berlusconi, può fare in modo che le scelte di Renzi tengano conto di tutti i cittadini e non soltanto dei ceti rappresentati dalla sinistra, bilanciando così con la propria presenza gli interessi del Pd.

Comunque la si veda, è l’ultima opportunità rimasta per l’Italia.

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