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Luigi Marattin, dopo aver annunciato la sua candidatura alla successione di Matteo Renzi alla guida di Italia Viva, sta caratterizzando da settimane la sua scalata alla leadership come una “crociata contro il bipolarismo”.

Questa impostazione, a mio avviso, contiene un errore strutturale che prescinde dal variare delle contingenze politiche. In tutto il mondo, l’alternanza di coalizioni al governo è una regola fisiologica delle democrazie, con l’eccezione dei casi (rari) di bipartitismo. Dopo le recenti elezioni in India, la più grande democrazia del mondo, il primo ministro Narendra Modi ha messo in piedi un’alleanza difficile con partiti secolari e “territoriali” che contrastano la sua visione nazionalistica fondata sui miti della cultura hinduista.

A Marattin non piacciono gli attuali schieramenti politici per come si configurano in Italia? La sua critica alla configurazione delle coalizioni ha indubbiamente basi solide. In questi giorni, il centrodestra ha manifestato macroscopiche divisioni non solo sulla conferma alla presidenza della Commissione europea di Ursula von der Leyen, votata solo da Forza Italia, ma anche su Ucraina e politica estera. Ormai Matteo Salvini e il gruppo dei Patrioti al Parlamento europeo paiono essere entrati in zona Vladimir Putin, con il loro no all’invio di sistemi di difesa aerea per proteggere le popolazioni di Kharkiv e delle altre città colpite dai missili russi. Problemi analoghi esistono nell’area di centrosinistra per il no di Giuseppe Conte a von der Leyen e soprattutto per l’ingresso degli europarlamentari del Movimento 5 Stelle nel gruppo dell’estrema sinistra spesso su posizioni pro Putin.

È giusto mettere in evidenza la disomogeneità delle coalizioni esistenti, ma il nuovo partito riformista che Marattin intende rilanciare non può restare isolato in uno sterile limbo terzo polista, comportandosi da Ponzio Pilato. Le alleanze servono, e sta a Marattin prospettare coalizioni alternative più credibili sul piano politico e più efficienti sul piano programmatico. Se è giusto uscire dai giochi quando le coalizioni non funzionano, il rifiuto pregiudiziale e altezzoso di progettare e costruire alleanze annulla ogni seria prospettiva di governo.

Marattin ha ragione quando sostiene che occorre rivolgere la massima attenzione all’elettorato di centro, perché gran parte delle battaglie si vincono o si perdono al centro, ma serve onestà intellettuale. Sin dai tempi della Democrazia Cristiana, il centro è articolato in due anime. Pur condividendo posizioni molto simili (e spesso identiche), ci sono elettori di centro che preferiscono allearsi a destra ed elettori che preferiscono guardare verso sinistra.

Il mio suggerimento è che Marattin abbandoni la battaglia campale contro il bipolarismo e orienti la sua agenda politica in una direzione diversa che non eluda il tema delle alleanze, indispensabili per una sana alternanza di governo. C’è sempre un legame strettissimo tra policy e politics; per questo, per Marattin e per tutti i riformisti, la domanda centrale a cui rispondere è la seguente: quale bipolarismo serve all’Italia?

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