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In Libia si è arrivati alla resa dei conti. Dopo le Primavere arabe e il tentativo (fallito) dei Fratelli Musulmani di prendere il potere, ora è arrivato il turno dei militari. Ma il rischio è quello di ripetere la situazione dell’Iraq tra il 2003 e il 2011 o, peggio ancora, che la Libia diventi un’altra Siria.

In un’intervista a Formiche.net, Arduino Paniccia, docente di relazioni internazionali alla facoltà di Scienze politiche dell’università di Trieste, direttore della Scuola di competizione economica di Venezia e già presidente della Sme Task Force Nord Est per la ricostruzione in Libia, ha spiegato che l’ex generale Khalifa Haftar segue una linea ispirata dai militari egiziani. “Nei prossimi giorni Haftar radunerà attorno a sé i consensi delle forze armate, le unità speciali e di polizia e delle milizie, soprattutto quella Zintan che è la più forte. Tutte fazioni che si sono schierate contro il governo di Ahmed Matiq e a favore dello scioglimento del Congresso nazionale”, ha detto.

L’ORIGINE DEL CAOS
Come si è arrivati a questa situazione in Libia? L’analista spiega che nei Paesi del Nord Africa si è presentato uno schema simile: i Fratelli Musulmani hanno voluto prendere il potere e non ci sono riusciti, per cui sono stati sostituiti da chi aveva il controllo della polizia e delle armi, ovvero, i militari. L’unica eccezione è stata la Tunisia, perché ha una tendenza più democratica ed è un Paese territorialmente più piccolo. “In questo quadro entrano altri attori, per esempio gli Stati Uniti e la Federazione russa, per interessi energetici e strategici (come nel caso dell’Egitto con il canale di Suez)”, ha proseguito Paniccia.

UNA CRISI NAZIONALE
Secondo l’esperto, la situazione d’instabilità riguarda non solo la Cirenaica, ma tutto il territorio libico. Haftar ha degli alleati a Bengasi, a Tripoli, a sud del Paese. La crisi non è territoriale, coinvolge molte le regioni, che hanno il sostegno del generale egiziano Al Sisi, ha sottolineato. A risolvere il polverone libico potrebbero essere i militari egiziani. In caso contrario, il rischio è quello di scatenare un’altra guerra, come quella che in corso in Siria.

L’INFLUENZA AMERICANA
I regimi militari al potere nella regione sono diversi a quelli imperanti negli anni ’60, ma contano ugualmente sulle classiche alleanze. Paniccia sostiene che gli Stati Uniti seguano la politica di “non coinvolgimento diretto” promossa da Barack Obama, ma restino sullo sfondo. Nel caso dell’Egitto, invece, c’è la Federazione russa. Gli unici in disparte, secondo l’analista, sono i Paesi europei.

L’ITALIA COME PROTAGONISTA
Paniccia non condivide il determinismo di Renzi sulla colpa delle Nazioni Unite in Libia, ma è d’accordo che le azioni non debbano limitarsi a un piano militare ma debbano prevedere anche a piano diplomatico. “L’Europa germanica ha sbagliato nel lasciare ai Paesi del Nord le linee direttive della politica estera. Loro non possono capire cosa succede sull’altra sponda del Mediterraneo. L’Italia deve essere leader di una nuova politica europea in Libia. È un errore non avere convocato ancora una nuova Conferenza per la stabilità in Libia a Roma”, ha concluso Paniccia.

Ecco come il modello egiziano può salvare la Libia. Parla Paniccia

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