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Il Festival “Le Printemps des Arts” di Montecarlo (14 marzo-13 aprile), giunto alla trentesima edizione ed inaugurato, quest’anno, da un concerto dell’orchestra filarmonica reale di Liegi diretta da Christian Arming, ha come temi conduttori opere meno note di Haydn e di Skrjabin.

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Oltre alla consueta esplorazione di musiche dei Paesi extra-europei (nel 2014 è la volta del Giappone e del Marocco), la manifestazione include interessanti giornate monografiche.

Di grande rilievo la serata del 15 marzo chiamata “La notte ungherese”. Pubblico molto folto – con la presenza di numerosi italiani in quanto il Principato di Monaco è ad appena un quarto d’ora di distanza dal “confine di Stato” e dato che la musica ungherese (specialmente quella contemporanea) desta notevole attenzione soprattutto tra le giovani generazioni.

Inoltre, parte della “notte” è stata diretta da Peter Eötvös, uno dei maggiori compositori e direttore d’orchestra viventi, a buon titolo considerato l’erede di Pierre Boulez in quanto gli è simile nell’articolazione del braccio destro e nella tenuta salda della bacchetta.

La “notte” è iniziata alle 18 con una conferenza (illustrata da slide con immagini d’epoca della storia magiara) che ha illustrato come elementi orientali (da strumenti ad accordi ed armonie) si trovino nei secoli nella musica del Paese non solo a ragion della dominazione turca e della provenienza uralica della popolazione magiara, ma anche dell’influenza della tradizione gitana (a sua volta di origine indiana).

Mentre la conferenza ha seguito un consueto tracciato storico, la parte musicale a ritroso iniziando dalle forme più moderne e giungendo , dopo le 11 di sera (l’evento è durato sino ad oltre la mezzanotte) alla musica (ed alla danza) tradizionale – popolare.
L’introduzione musicale, dedicata a György Ligeti si è svolta nei due piani del foyer dell’auditorium Ranieri III. Nel primo, è stato eseguito il “poema sinfonico per cento metronomeni”, un lavoro di 20 minuti.

I metronomeni (strumenti per misurare i tempi) sono gli unici strumenti musicali del poema sinfonico; danno senso fortissimo del passaggio del tempo. In parallelo, nel foyer del bar, un giovane cembalista François-Gilda Tual eseguiva un elegante ed ironico “rock ungherese” per clavicembalo ed un “continuo” sempre per clavicembalo. Quindi, “rock” quasi settecentesco quasi un “improvviso” mozartiano.
Si è, poi, entrati nell’auditorium vero e proprio dove, nella prima parte, Peter Eötvös ha diretto due sue composizioni recenti: “zeroPoints” per orchestra, e “Cello” per violincello ed orchestra.

Il primo del 1999 è un omaggio composto per i 75 anni di Pierre Boulez, suo maestro e grandissimo amico; il secondo (del 2011) un approccio contemporaneo al “concerto grosso” barocco (carico ancora una volta d’ironia).

Nella seconda parte, Eötvös ha diretto i Nouveaux Message di György Kurtág del 2009 e la suite per orchestra Háry János di Zoltán Kodály del 1927-27. Un viaggio a ritroso particolarmente toccante non solo perché Eötvös, Ligeti e Kurtág hanno voltato le spalle al “socialismo reale” e trovato la libertà politica ed espressiva in Francia e Germania occidentale ma anche perché Kodály, pur legato a tutti gli stilemi, è l’autore ungherese che, nel periodo tra le due guerre mondiali, più si operò per la creazione di una “scuola nazionale magiara” di musica dell’epoca.

La parte finale della lunga “notte” – canti e danze popolari – non solo è gradevole in se stessa (pur se sarebbe stata più apprezzata in ore meno prossime all’indomani- ma mostra sia il nesso della musica ungherese attraverso i secoli – con le sue influenze uraliche ed indiane. Un aspetto su cui non sempre si riflette ascoltando, ad esempio, Bártok, il compositore magiaro più eseguito in Italia.

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(foto: copyright Alain Hanel Photographies)

Printemps des Arts, una lunga notte ungherese a Montecarlo

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