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È record negativo per la storia francese. Sébastien Lecornu, quinto primo ministro in poco più di un anno e nominato pochi giorni fa, si dimette dopo aver presentato la lista dei ministri. Da un lato troppe riconferme nella quadra di governo (Elisabeth Borne all’istruzione, Manuel Valls ai Territori d’Oltremare, Gérald Darmanin Guardasigilli, Bruno Retailleau all’Interno); dall’altro la consapevolezza di appoggi politici auspicati ma non concretizzatisi fino in fondo. Subito la borsa cede il 2%. In sostanza Lecornu (il primo ministro con il mandato più breve della storia repubblicana d’oltralpe) si è ritrovato a dover gestire la medesima situazione di François Bayrou, sfiduciato dall’aula un mese fa. Certamente ha provato a cambiare rotta, ma al di là dei principali membri uscenti riconfermati, di novità se ne sono viste poche, senza dimenticare il ritorno nell’esecutivo di Bruno Le Maire che ha fatto storcere il naso a molti.

Non solo la base di centro e quella socialista non ha condiviso le scelte di presidente e primo ministro, ma più in generale la nomenklatura francese ha compreso che forse una stagione è ormai volta al termine e quindi, nelle intenzioni, è più utile cambiare rapidamente pagina, senza ulteriori tentennamenti che, in vista della legge di bilancio, potrebbero avere conseguenze molto gravi.

Da Matignon Lecornu si è difeso sostenendo che non si può essere Primo Ministro quando non ci sono le condizioni, inoltre ha provato a tracciare un percorso su questioni che erano state oggetto di blocchi, come l’assicurazione contro la disoccupazione e la previdenza sociale, per “rilanciare la gestione congiunta” e “costruire una tabella di marcia”.

Parola d’ordine adesso, discontinuità. Jordan Bardella chiede a Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale, circostanza fino ad oggi sempre rifiutata dall’Eliseo, ma che nelle ultime ore ha preso piede. “Non ci sarà stabilità senza un ritorno alle urne. Auspichiamo uno scioglimento rapido”, ha detto il conservatore. “Non c’è soluzione, non ce ne sarà una domani: chiedo al Presidente della Repubblica di sciogliere l’Assemblea nazionale”, attacca Marine Le Pen. Raddoppia la dose Jean-Luc Mélenchon che chiede “l’esame immediato della mozione” di licenziamento di Emmanuel Macron presentata dal su partito. Secondo la presidente del gruppo La France Insoumise, Mathilde Panot, “Macron deve andarsene”, mentre il socialista Arthur Delaporte ha denunciato il “caos politico” causato da un governo “di breve durata”. Anche il capo di Rinascita, lex premier Gabiel Attal, ha parlato di “spettacolo deplorevole”.

Un sondaggio dello scorso settembre, condotto dall’istituto Elabe per l’emittente televisiva BfmTv, rileva che un eventuale passo indietro di Macron sarebbe gradito dal 64 per cento dei cittadini, mentre il 69 per cento degli interpellati ritiene la situazione politica senza via d’uscita.

Ancora un ko per Macron, titoli di coda su Lecornu. Anche sull'Eliseo?

Non solo la base di “centro-socialista” non ha condiviso le scelte di presidente e primo ministro, ma più in generale la nomenclatura francese ha compreso che forse una stagione è ormai volta al termine e quindi nelle intenzioni è più utile cambiare rapidamente pagina, senza ulteriori tentennamenti che, in vista della legge di bilancio, potrebbero avere conseguenze molto gravi

 

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