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Nel gergo della finanza, li chiamano Panda bond. Tecnicamente un’obbligazione in yuan, emessa dal governo cinese e dalle sue banche, per finanziare l’economia. Per il Dragone, è sempre stato una specie di architrave, sia dentro casa, sia fuori. Nel primo caso, per raccogliere la liquidità con cui imbottire le banche e provare a rimettere in moto i consumi. Nel secondo, per dare alle medesime banche sufficiente potenza di fuoco per concedere quei prestiti con cui ingabbiare i governi in via di sviluppo, a cominciare dall’Africa. Ma anche per aumentare la circolazione dello yuan in chiave de-dollarizzazione.

Ora però i Panda bond hanno trovato un alleato in più e non certo un gregario aggiuntosi all’ultimo, bensì la Banca asiatica per gli investimenti, che altro non è che la risposta asiatica, dunque cinese (Pechino ne è l’azionista principale), alla Banca mondiale di impronta americana. L’istituzione ha deciso di scendere in campo per dare man forte alla Repubblica popolare nel piazzare i suoi bond in moneta cinese in giro per il mondo. E lo stesso Jin Liqun, il numero uno della banca, guarda caso proprio un manager cinese, ha dichiarato al Financial Times di aver riscontrato una “grande domanda di obbligazioni in valuta cinese” e che diversi Paesi hanno chiesto aiuto su come sottoscrivere i cosiddetti Panda bond.

E qui tutte le strade, sembrano portare ancora all’Africa. Sì, perché l’anno scorso, l’Egitto ha per esempio fatto ricorso ai Panda bond, emettendo obbligazioni in valuta cinese sul proprio mercato. Ed è pronto a ripetere l’operazione, proprio grazie al sostegno offerto dalla Banca asiatica per gli investimenti. “Alcuni Paesi hanno chiesto informazioni sull’esperienza dei Panda bond emessi dal governo egiziano e vorrebbero farlo, anche loro”, ha rivendicato lo stesso Liqun.

A questo punto la domanda è: in quale portata il debito cinese tornerà a infiltrarsi nelle maglie dell’economia e della finanza, più o meno occidentale che sia? A Pechino, sono ottimisti. Le vendite obbligazionarie di Panda bond quest’anno sono già sulla buona strada per superare il totale dell’anno scorso di 150 miliardi di yuan, circa 21 miliardi di dollari. Anche perché, mentre la seconda economia mondiale lotta per evitare la deflazione, ovvero il crollo incontrollato dei prezzi, proprio il recente taglio dei tassi voluto dalla Pboc sta contribuendo ad attrarre i Paesi sul mercato dei Panda bond. Tuttavia, sono ancora pochi i governi stranieri che hanno scelto di utilizzare questa forma di prestito meno convenzionale.

Forse c’è la paura di fare la fine di certi Paesi africani, che il debito cinese lo conoscono fin troppo bene. Alla prima insolvenza, al primo cenno di rallentamento dei rimborsi dei prestiti, scatta la trappola e le banche del Dragone entrano nel capitale delle società, prendendosi un pezzo di industria dopo l’altro e lasciando ai governi africani le briciole.

Il debito cinese è pronto a invadere il mondo. La rincorsa dei Panda bond

Per sostenere le obbligazioni in yuan e permettere al Dragone di aumentare la presa sulle economie più fragili, ora scende in campo anche la Banca asiatica per gli investimenti. Il caso dell’Egitto

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