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I francesi, quando sono presi dal loro sciovinismo anti-italiano e vogliono indicare un’attitudine congenita alle trame, agli intrighi e alla slealtà, parlano di “èsprit florentin”; un po’ per la tradizione medicea, un po’ per la vulgata che a torto accompagna l’opera di Nicolò Machiavelli, lo “scrivano fiorentino” per antonomasia.

Matteo Renzi si è prestato in ogni modo ad assecondare questo frusto cliché, né sono mancati i riferimenti, nella storia di veleni e pugnali fra lui e il pisano Enrico Letta, alle reviviscenze di antiche faide comunali, di quando la Toscana era un faro di civiltà e cultura, ma anche di odi atavici.

Come che sia, non c’è bisogno di rigirare il coltello nella piaga, mettendo l’aspirante premier di fronte alle sua dichiarazioni di ieri e di sempre. È fuor di dubbio che tutte quelle querimonie sul rimpasto che non gli interessava, quegli spergiuri sul non andare a Palazzo Chigi se non con l’unzione del voto, sui giochini da Prima Repubblica finiti per sempre erano un anti-Vangelo secondo Matteo, una serqua di battute ad uso televisivo.

Gli vanno riconosciute, peraltro, alcune attenuanti di contesto: vinte le primarie sull’onda di un genuino consenso, ma anche della gattopardesca conversione di buona parte della classe dirigente piddina, Renzi si trovava alla guida di un partito ormai libanizzato, che non bramava altro che metterlo in salamoia, mentre il cardinalizio Letta teneva saldamente le leve del potere.

Quel che è peggio, i primi dati finalmente positivi sulla situazione economica facevano chiaramente intendere che non fosse andato a Palazzo Chigi ora, l’appuntamento si sarebbe spostato al 2016 e forse oltre.

Come che sia, le idi di febbraio si sono consumate, il sindaco di Firenze ha in mano tutte le carte del mazzo, e nulla gli impedirà di mostrare la sua capacità. Presto sapremo se la sua è davvero birra o soltanto schiuma.

Sul suo cammino diverse tagliole: meno ingenuo di Bersani, si terrà probabilmente lontano dalla ricerca di perigliosi flirt con i Cinquestelle; quanto al sogno di allargare la maggioranza a Sel, Vendola l’ha già sgarbatamente infranto. Il Dna democristiano lo aiuterà a non farsi coinvolgere nelle guerre di Lilliput della palude centrista.

Sulla sua strada la tentazione più pericolosa resta comunque l’abbraccio con il Caimano: l’intesa con Forza Italia e Silvio Berlusconi è sempre scritta sull’acqua. Chiedere per credere a Umberto Bossi, Massimo D’Alema, Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Giorgio Napolitano, Mario Monti ed Enrico Letta.

Il rovescio del tavolo, il racconto a rovescio dell’accaduto da parte del Cavaliere non sono un’eventualità ma una certezza. L’unico dubbio è in quale giorno precisamente avverrà.

La speranza è che il giovane Matteo ce la faccia. Perché sarebbe triste se il primo serio avvicendamento generazionale della nostra vita pubblica si risolvesse in un disastro; e soprattutto perché l’Italia deve farcela. Per questo gli inviamo preoccupati ma sinceri auguri.

Governo Renzi: per Matteo rischio rottamazione

I francesi, quando sono presi dal loro sciovinismo anti-italiano e vogliono indicare un’attitudine congenita alle trame, agli intrighi e alla slealtà, parlano di “èsprit florentin”; un po’ per la tradizione medicea, un po’ per la vulgata che a torto accompagna l’opera di Nicolò Machiavelli, lo “scrivano fiorentino” per antonomasia. Matteo Renzi si è prestato in ogni modo ad assecondare questo…

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