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Il ministro Elsa Fornero versò qualche lacrima in conferenza stampa sotto lo sguardo algido del premier Mario Monti. In tema di perequazione automatica dei trattamenti, la legge n.241/2011 aveva stabilito, per il 2012 e il 2013, il seguente meccanismo al solo scopo di «fare cassa»: sulle pensioni di importo pari o inferiore a tre volte il trattamento minimo (1.405,05 euro mensili lordi) veniva garantita la rivalutazione nella misura del 100% dell’inflazione (2,6% nel 2012); per gli importi superiori a tale limite non operava alcuna perequazione.

GLI EFFETTI

Quali effetti si sono avuti? Nel 2012 sono stati interessati dalle nuove misure ben 5.192.338 pensionati per un totale di perequazione non erogata di circa 3,8 miliardi (la quota più consistente, per poco meno di un miliardo, è gravata sui percettori di un trattamento superiore a 3mila euro lordi mensili).

Nel 2013, la platea è rimasta la stessa, ma il taglio è salito a 4,4 miliardi (di cui 1,1 miliardo a carico dei predetti pensionati con più di 3mila euro). In sintesi ed arrotondando gli importi: nei due anni di blocco (2012 e 2013) la perequazione persa (per sempre) è ammontata a 8,2 miliardi (sic!) che, spalmati su 5,2 milioni di soggetti interessati, ha determinato una riduzione media pro-capite di 1.584 euro. Della riforma Fornero, meritano di essere evidenziati anche gli effetti sul numero degli accessi al pensionamento. Nel 2013 sono state liquidate 649.621 pensioni rispetto ai 1.146.340 nuovi trattamenti del 2012 (-43%). Le pensioni eliminate nel 2013 sono state 742.195 con un saldo di quasi 100mila trattamenti in meno viventi nell’anno.

PENSIONI

L’Inps, per il 2014, prevede che vi saranno 596.556 nuove pensioni a fronte di 739.924 assegni da eliminare. Il crollo più vistoso riguarderà le pensioni di anzianità (ora pensioni di vecchiaia anticipate) che passeranno dalle 170.604 del 2013 alle 80.457 previste per il 2014 (-52,8%). Nel 2014, poi, sarebbe dovuto tornare in vigore il sistema previgente di perequazione, ordinato come segue per fasce orizzontali di pensione: 100% per i trattamenti fino a tre volte il minimo; 90% per la quota di pensione compresa fra tre e cinque volte il minimo; 75% per la quota oltre cinque volte il minimo.

REGIME DI FASCE VERTICALI

La legge di stabilità del governo Letta (legge n.147/2013) per il triennio 2014-2016 ha introdotto un regime di fasce verticali, nel senso che le nuove aliquote si applicano su tutto l’importo della pensione e non sulle quote eccedenti i multipli del trattamento minimo. Così fino a tre volte il minimo (1.486,29 euro mensili lordi) la perequazione è pari al 100% (1,2% di maggiorazione); oltre 3 volte ed entro 4 volte (oltre 1.486,29 e fino a 1.981,72 ) è in misura del 90% (1,08% di maggiorazione); da 4 volte ed entro 5 volte (oltre 1.981,72 e fino a 2.477,15) al 75% (0,90% di maggiorazione), oltre 5 volte ed entro 6 volte (oltre 2.477,15 e fino a 2.972,58) al 50% (0,60% di maggiorazione). Al di sopra dell’ultimo importo opera un complesso meccanismo di calcolo che porta, in pratica, ad una cifra fissa stabilita provvisoriamente dall’Inps in 17,84 euro, ma destinata ad essere ricalcolata in poco più di 14 euro.

LE CONSEGUENZE

Il passaggio al sistema di perequazione per fasce verticali dovrebbe determinare, secondo le previsioni, una riduzione di spesa, nel periodo considerato, di circa 5 miliardi di euro. Paradossalmente emerge che a «soffrire» di più non saranno i trattamenti più elevati ma quelli di importo medio-alto. Mentre le pensioni comprese tra 13 e 19 volte il minimo subiranno, rispetto al calcolo precedente per fasce orizzontali, una penalizzazione dello 0,40%, quelle tra 5 e 7 volte ne avranno una pari allo 0,56%. In conclusione: i pensionati «hanno già dato».

Pensioni, ecco tutti gli effetti della riforma Fornero

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