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Sergio Marchionne? Ha buone carte, ma una mano debole. Il giudizio sul top manager della Fiat fresco reduce del deal su Chrysler applaudito da tutta la stampa nazionale arriva nientemeno che dal Financial Times di oggi. “Fiat’s lone poker player need to find another deal” è il titolo del documentato articolo sul quotidiano britannico, scritto da John Gapper. Articolo che è facile prevedere difficilmente sarà ripreso domani da qualche gionale nostrano.

“I think he’s bluffing”. Marchionne sta bluffando a proposito del suo disegno di integrazione industriale tra Fiat e Chrysler. Perché l’editorialista dell’FT arriva a questa conclusione? Perché ritiene che il ceo di Fiat non sia un manager automotive nel senso stretto come invece Martin Winterkorn di Volkswagen o Alan Mulally di Ford. Più semplicemente, oltre ad essere un manager “solitario” e che ama condurre gli affari importanti basandosi solo sulle sue abilità personali (nonostante a lui riportino 21 executives) è un ottimo negoziatore dove fa valere la sua consumata abilità di giocatore di carte. E di poker. Così, con l’abilità del pokerista, ha condotto la partita su Chrysyler con il sindacato americano come nove anni fa costrinse General Motors a scucire2 miliardi di dollari per porre fine all’alleanza con Fiat.

Nonostante ciò, tuttavia, la lunga cura Marchionne non ha cambiato molto Fiat, secondo il Financial Times, rispetto al gruppo che il manager-pokerista ereditò dall’ultima disastrosa gestione Agnelli. Fiat-Chrsler è infatti ancora oggi una compagnia automotive troppo piccola, che vende piccole vetture in Europa e grossi suv e jeep negli Stati Uniti, ma con un “buco” a metà dell’offerta. Le sue vendite annuali globali di 4,5 milioni di auto sono meno della metà dei 10 milioni di quelle di Toyota e General Motors e ben al di sotto dei 6 milioni ritenuti dallo stesso Marchionne la soglia di sopravvivenza odierna di un produttore di quattroruote.

Chrysler è un asset decente, ma è estremamente arduo che Marchionne possa spostare con successo il suo focus commerciale dai suv e dai pick-up di oggi ad auto di classe piccola e media realizzate con la tecnologia Fiat. Per far ciò, Marchionne dovrebbe investire massicciamente in nuovi modelli, assicurando così una crescita organica. Ma ciò richiederebbe un bilancio non così segnato dai debiti e uno sforzo unificato di un team manageriale, che non fa parte del dna di Marchionne. Al giocatore di poker non resta quindi, per il Financial Times, che aspettare – ma non troppo – di realizzare un altro deal.

Il bluff di Marchionne

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