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Con un anticipo di oltre quattro mesi dalla data della scomparsa, sessant’anni orsono, di Alcide De Gasperi, la Fondazione dedicata allo statista trentino e amorevolmente curata dalla figliola Maria Romana (che con ammirevole tenacia tiene viva la memoria del padre, vero fondatore della democrazia italiana rinata dopo la caduta di Mussolini), ha tenuto a Roma un convegno di studio cui ha partecipato anche il capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Come spesso accade in manifestazioni a più voci che si organizzano in prossimità di consultazioni elettorali, si sono dati pochi giudizi sinceri sul passato e si sono evidenziati gli aspetti meno spigolosi delle dure battaglie politiche che contrassegnarono la vicenda, non soltanto italiana, negli anni degasperiani, che andarono in realtà dal 1943, col fascismo ancora vivo, all’estate 1954. Quando uno dei punti caratterizzanti l’europeismo del leader democristiano – gli Stati Uniti d’Europa conseguiti per via politica -, venne meno, a causa del rifiuto della Ced da parte della Francia di Mendes France, sostenuto da una maggioranza parlamentare occasionale costituita da massoni, radicali di sinistra e comunisti.

Rilevo questo fatto perché la bocciatura della Ced (che liquefece la solidarietà politica dell’Europa carolingia), non solo frenò l’europeismo, garantito dalla solidarietà atlantica, ma fu vissuta da De Gasperi come una ferita mortale alla sua persona: che, un paio di settimane dopo quell’evento disastroso per l’Europa, perse di colpo ogni residuo di energia vitale, abbandonando la vita terrena.

Poiché alle celebrazioni di due giorni fa erano presenti autorità che il tempo di De Gasperi non lo hanno conosciuto – o per essere nati dopo o per essere stati antidegasperiani e antidemocristiani – ma anche aspiranti ad una sorta di remota eredità (un De Gasperi, sia chiaro, che non ha mai avuto alcun diretto erede politico), ho ritenuto opportuno recuperare – nell’archivio dell’Istituto per la storia repubblicana di Tarquinia – un passaggio di uno degli ultimi interventi del De Gasperi segretario della Dc prima del V congresso di Napoli del giugno 1954.

Letto nel consiglio nazionale dello scudocrociato del 20 marzo 1954, svoltosi a Roma a conclusione della crisi ministeriale conclusasi con la costituzione del quadripartito Scelba, il discorso di De Gasperi si soffermò, tra l’altro, sul significato del centrismo e dell’interclassismo, spiegando: «Il centro deve essere dinamico, propulsore, ma non deve perdere le ali, perché anche queste sono indispensabili per tenersi in aria. Non siamo qui per operare come commandoes, per rischiare uno sbarco, un’avventura. Bisogna marciare avanti in un solo schieramento, altrimenti non si passa e, dispersi, veniamo abbattuti uno alla volta. Non possiamo fare il partito dei salariati o degli stipendiati, dei contadini o dei piccoli agricoltori o dei sindacati; bisogna che rappresentiamo tutta la Nazione. In quanto essa attende soluzioni poliedriche che tengano conto di tutti i fattori popolari, e finché la società è così strutturata in classi diverse che si evolvono, si fondano e si trasformano, cerchiamo le convergenze che significano: vantaggio per i più poveri e più numerosi, concorso dei fattori di produzione. Il nostro interclassismo non è ambivalenza statica, significa cooperazione nell’azienda, esercizio responsabile del diritto di sciopero, e nella distribuzione del reddito riguardo preferenziale ai disoccupati e ai più miseri».

Correva l’anno di grazia 1954. Ma quelli di De Gasperi sono concetti che paiono espressi nel 2014 e per un futuro più equilibrato e coerente. Chi ha orecchie per intendere, ne prenda atto.

Il centrismo dinamico di De Gasperi

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