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Con l’ok all’AI Act “l’Unione europea, insieme alla Cina, si è posizionata come avamposto nella regolamentazione dell’intelligenza artificiale”, spiega Rebecca Arcesati, lead analyst del Merics e co-autrice del rapporto “AI entanglements: Balancing risks and rewards of European-Chinese collaboration” pubblicato dal centro studi tedesco con il sostegno del ministero degli Esteri di Berlino. “C’è la possibilità che la Cina, seguendo in parte l’esempio dell’Unione europea, introduca una prima bozza di legge orizzontale sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale nel 2024. La Cina ha invece già introdotto diversi regolamenti specifici, per esempio per l’intelligenza artificiale generativa”, aggiunge.

In che posizione si trova l’Unione europea?

Nonostante la mancanza di campioni alla stregua di OpenAI o Google, l’Unione europea si trova in una posizione competitiva diversa rispetto al duopolio tra Stati Uniti e Cina. La forza dell’Europa nella ricerca di base, con eccellenze nel Regno Unito, in Germania e in altri Paesi, crea complementarità. Ma sebbene possieda eccellenze nell’ambito dell’intelligenza artificiale, la sfida consiste nella connessione con il mercato attraverso le risorse necessarie per commercializzare le invenzioni, altrimenti confinate alle pubblicazioni scientifiche o startup che faticano a crescere.

E in rapporto alla Cina?

La capacità della Cina di lavorare su open source intelligence le ha permesso di acquisire una conoscenza approfondita del vantaggio tecnologico altrui. Per l’Unione europea, questa dinamica potrebbe cambiare solo attraverso il mantenimento dell’interscambio tecnologico e della collaborazione con la Cina nella ricerca, un passo essenziale per colmare questa disparità di conoscenza.

Come tutelare la sicurezza della ricerca?

La sicurezza tecnologica e della ricerca sull’intelligenza artificiale è una questione cruciale perché l’intelligenza artificiale è spesso a doppio uso, con molte aziende e università che si interrogano su come continuare a collaborare con la Cina senza contribuire agli obiettivi militari e di sicurezza interna del regime del Partito comunista cinese. È essenziale ricalibrare le collaborazioni senza un decoupling radicale. Isolare la Cina nell’ambito dell’intelligenza artificiale potrebbe comportare rischi; quindi, la soluzione è una gestione e mitigazione del rischio oculata.

Quali sono le difficoltà per i ricercatori europei?

Attualmente, molti ricercatori europei mancano degli strumenti necessari per effettuare la due diligence nelle loro collaborazioni con soggetti cinesi. Questa mancanza si riflette su diversi livelli e richiede una condivisione di responsabilità tra i singoli scienziati, i governi nazionali e gli istituti di ricerca europei nella messa in sicurezza della ricerca.

C’è un tema di giusto bilanciamento tra sicurezza nazionale e innovazione.

Il settore dell’intelligenza artificiale, storicamente globalizzato, solleva il dibattito tra sicurezza nazionale e libertà dell’innovazione. L’Europa può guidare questo dibattito promuovendo una cooperazione internazionale nella ricerca e innovazione attenta alla dimensione geopolitica, senza necessariamente disaccoppiarsi. La consapevolezza del rischio non dovrebbe portare ad un isolamento eccessivo che eroderebbe il vantaggio competitivo europeo, perdendo quindi anche eventuali opportunità di utilizzare l’interesse cinese nella tecnologia europea per far leva sulla Cina nell’ambito di negoziati o di questioni strategiche.

Collaborazione Ue-Cina sull’IA, i pro e contro di Arcesati (Merics)

“È essenziale ricalibrare le collaborazioni senza un decoupling radicale”, spiega Rebecca Arcesati, analista del Merics. Ma “isolare la Cina nell’ambito dell’intelligenza artificiale potrebbe comportare rischi”

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