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Turchia, Libano, Siria, Grecia, Egitto: è questo il pentagono dell’instabilità mediterranea che spaventa l’Europa anche per via dei riverberi nelle dinamiche mediorientali. L’anno che si chiude porta con sé in dote una massiccia coda di crisi: politiche, sociali e finanziarie, caratterizzate da un’estrema peculiarità. Perché se è vero come è vero che ogni singola criticità contiene al proprio interno una difficoltà strutturale di soluzione, è altrettanto vero che i cinque Paesi in questione non vivono in “compartimenti stagni” ma, ognuno per proprio conto, produce una sorta di effetto a raggiera, con uno sciame di conseguenze geopolitiche, determinate e determinanti.

MICCIA TURCA
La tangentopoli turca è esplosa non solo con l’inchiesta giudiziaria che ha portato all’arresto di 52 esponenti della nomenclatura locale, ma con il coinvolgimento dei figli di tre ministri oltre che di Bilal, figlio del premier Erdogan, “attenzionato” per via di una ong a lui riconducibile. Il rimpasto di ben dieci ministri ha il sapore di una rivoluzione che, in virtù del sostanzioso numero di ministri, sarebbe dovuta passare da un passaggio formale di dimissioni. Così non è stato, contribuendo ad ingrossare quella scuola di pensiero che vuole Erdogan stretto tra la morsa dei militari da un lato e del suo ego dall’altro. Lo Stato maggiore dell’Esercito ha dichiarato ufficialmente di non voler essere coinvolto nei dibattiti politici, ma si tratta di schieramenti che giocoforza si guardano in cagnesco, anche per via dei dimostranti che continuano a radunarsi in piazza Taksim a Istanbul. Quello stesso luogo che lo scorso giugno era stato teatro della repressione governativa sfociata in sangue e proteste, e che oggi rivive quei frangenti con le Forze dell’ordine che ricorrono ai gas lacrimogeni e agli idranti.

QUI BRUXELLES
“Crescente preoccupazione” è stata più volte espressa da Bruxelles, con il commissario Ue all’Allargamento, Stefan Fuele, che invita Ankara a “prendere tutte le misure necessarie per garantire che le accuse di corruzione siano affrontate senza discriminazioni o preferenze in modo trasparente e imparziale”. Anche il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino ha auspicato che una mediazione del presidente della Repubblica Abdullah Gul possa essere d’aiuto.

MEDIO ORIENTE
Ma a preoccupare la comunità internazionale sono i riverberi della potenziale “bomba politica” turca all’interno di un fazzoletto di terra già segnato da profonde crisi. Il Libano è senza governo da due quadrimestri, con il rischio di guerra civile che si innalza ogni giorno di più. La tensione è incrementata anche per via del processo a cinque membri dell’ala militare di Hezbollah, elemento che fa propendere la gran parte delle analisi su una possibile reazione a catena imprevedibile. Altro fronte caldo l’Egitto, dove la polizia ha arrestato quattro giornalisti di Al Jazeera al Cairo. Sono accusati di aver diffuso illegalmente informazioni che minacciano la “sicurezza nazionale” in occasione di una trasmissione assieme a un membro della Fratellanza Musulmana, dichiarata organizzazione terroristica dal governo. Sono il reporter Peter Greste, i produttori Mohamed Fahmy e Baher Mohamed e il cameraman Mohamed Fawzy. Diciannove ribelli invece hanno perso la vita in Siria, uccisi in combattimenti contro le forze governative. Tentavano di prendere possesso dell’aeroporto militare di Deir Az Zor, nella zona orientale del Paese.

ZONA EUROMEDITERRANEA
Non solo armi e terroristi, ma crisi sistemica ed economica, come in Grecia, che torna a far parlare di sé sulla grande stampa internazionale circa un’eventuale uscita dall’eurozona di Atene nel 2014. “Possibile uscita della Grecia dall’euro nel 2014” è il titolo scelto oggi dall’edizione tedesca del Wall Street Journal, con Deutsche Welle che raddoppia: “L’uscita della Grecia dall’euro non è un’opzione scomparsa”. Il tutto mentre ad Atene la residenza dell’ambasciatore tedesco Wolfgang Ntolt è stata presa d’assalto da un commando terroristico che ha sparato nella notte almeno sessanta colpi di kalashnikov. Quattro anni fa la stessa sede era stata colpita da un razzo. Ce n’è abbastanza – secondo molti osservatori – per chiedere all’Unione Europea di salire in cattedra e occuparsi a trecentosessanta gradi dei cinque fronti di crisi che saranno protagonisti dell’anno nuovo. Ma questa volta con un piglio diverso e contando su una politica estera “europea”  e unica.

twitter@FDepalo

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