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Al-Qaeda non ha mai avuto così tanti territori sotto il proprio controllo (mappa), non ha mai avuto così tanti combattenti, non ha mai avuto così tante risorse finanziare, come in questo periodo.

Negli ultimi tempi i “franchising” di al-Qaeda hanno segnato successi o quasi-vittorie in un arco che va dal Sahel in Africa orientale fino al Levante attraverso il Corno d’Africa, Yemen e Iraq. Per poco nel 2012 i combattenti qaedisti non riuscivano a prendere la capitale del Mali Bomako, nel 2013 hanno radicalizzato il conflitto siriano prendendo un ruolo sempre più centrale nel controllo dell’opposizione al presidente Assad, e il 2014 si è aperto con gli attacchi alla città di Falluja, a pochi chilometri dalla capitale irachena Baghdad.

Il Comitato d’intelligence della Camera statunitense ha avviato la scorsa settimana un’indagine sulla rinascita dell’organizzazione; «La sconfitta di un’ideologia richiede molto di più di attacchi con i droni» ha ammonito il presidente del comitato Mike Rogers, deputato repubblicano dall’Alabama, definendo la scomparsa di al Qaeda un «falso narrativo».

Nell’analisi sul fenomeno fatta da Sam Jones, Borzou Daragahi e Simeone Kerr per il Financial Times, vengono poste tre domande: quanto è elastica questa rinascita, quanto è centralizzato il controllo e quanto è forte ancora la minaccia internazionale. La speranza è che al Qaeda sia fondamentalmente indebolita, operante senza una testa centrale, ma soltanto tramite gruppi locali quasi-indipendenti. A questo si aggiunge la possibilità che la brutalità delle azioni possa alienare le popolazioni musulmane autoctone – un po’ quello che sta succedendo con l’Isis tra i ribelli in Siria, con altri gruppi islamisti che si stanno ponendo in contrapposizione e soprattutto con il sostegno quasi-esclusivo di al-Zawahiri ad al-Nusra.

Nonostante queste considerazioni, la minaccia resta di primissimo livello, anche perché l’organizzazione terroristica ha dimostrato grossa adattabilità e soprattutto grande consapevolezza degli errori fatti in passato. Il mese scorso Qassim al-Rimi, un comandante dell’Aqap, si è scusato per l’attentato del 5 dicembre 2013 alla sede del ministero della Difesa yemenita, che procurò la morte di 52 persone. In un video ha ammesso di aver sottovalutato la vicinanza di un ospedale al luogo dell’esplosione – la contiguità aveva procurato la morte di diverse persone anche nel nosocomio. Nel video di al-Rimi è stata riconosciuta la volontà dell’organizzazione di mantenere buoni i rapporti con le popolazioni locali, scrivono gli analisti del FT.

La necessità di consolidare il sostegno popolare – non solo in Yemen dove l’intenso uso di attacchi droni, con conseguenze spesso infelici di morti tra i civili, è uno dei motivi per cui la popolazione comincia ad ascoltare la parola di al-Qaeda (come se n’era già parlato), ma in tutti i territori di attività -, è riconosciuta da molti esperti come il segno del cambio di strategia nel progetto di base: adesso l’obiettivo è creare emirati controllati nei territori, per poi farli confluire in un califfato più grande. Si racconta che quando le truppe francesi respinsero i combattenti dell’Aqim fuori da Timbuktu, furono trovate delle lettere che il leader Wadoud indirizzava ai suoi comandanti. «Il bambino attualmente è nei suoi primi giorni, sta strisciando in ginocchio, e non è ancora fermato sulle sue due gambe» scriveva Wadoud. «Se vogliamo davvero che riesca a stare sui suoi due piedi in questo mondo pieno di nemici in attesa di avventarcisi contro, dobbiamo alleviare il suo fardello, prenderlo per mano, aiutarlo e sostenerlo».

La rinascita di al-Qaeda

Al-Qaeda non ha mai avuto così tanti territori sotto il proprio controllo (mappa), non ha mai avuto così tanti combattenti, non ha mai avuto così tante risorse finanziare, come in questo periodo. Negli ultimi tempi i "franchising" di al-Qaeda hanno segnato successi o quasi-vittorie in un arco che va dal Sahel in Africa orientale fino al Levante attraverso il Corno…

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