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IL DO UT DES CON MARINO
Si tratta di un decreto che aumenta ulteriormente le risorse che il bilancio dello Stato offre a Roma, sottolinea l’ex ministro degli Affari Regionali nel governo Prodi, accollandosi il suo debito e dando soldi freschi per ripianare il disavanzo sia del 2013 sia del 2014. In caso contrario si andrebbe incontro virtualmente a un default. “Affinché questo scenario non si ripeta ogni due o tre anni, come abbiamo visto dal 2008 in poi, è necessario affrontare le cause strutturali del disavanzo. Altrimenti l’effetto sarebbe che tutto questo debito che si fa formando, è sulle spalle dei contribuenti italiani, in modo particolare su quelli romani, che potrebbero vedere ulteriormente aumentare, a cominciare da quest’anno, l’addizionale Irpef, che sta diventando insostenibile”.

GLI OBIETTIVI DI LANZILLOTTA
E allora ecco che per fare questo il Comune di Roma, anche al fine di risanare, deve cedere asset. Nel caso specifico, aggiunge Lanzillotta, “non è corretto dire che l’Acea deve essere privatizzata, ma cede una quota mantenendo il controllo pubblico della società, chi ha situazioni finanziarie di questo genere se ne dovrebbe fare carico e assumersene le responsabilità”.

LA CRITICA DEL PD ROMANO
Sull’emendamento contrarietà è espressa dal Pd romano. Parla di “due grandi errori” il deputato del Pd Umberto Marroni. Il primo, come dichiara alle agenzie, è quello di “riproporre un’inaccettabile pregiudizio contro Roma, che ci si aspetterebbe più da un esponente leghista che da un ex assessore comunale, dimenticando infatti che comunque la capitale d’Italia, a parte negli ultimi tre anni, ha avuto ben pochi riconoscimenti dal Governo nazionale”. Marroni aggiunge che “anche il più ottuso liberista, oltre ad ammettere il fallimento delle politiche delle privatizzazioni nei servizi strategici, come dimostra il caso Alitalia, Telecom, non svenderebbe mai, perché di svendita si tratta, le aziende pubbliche in un momento di crisi”. E conclude: “Ricordo alla Senatrice che l’Acea è l’unica società che garantisce dividendi al Comune, per cui la svendita del 20% comporterebbe un danno erariale alle casse capitoline”.

LA RISPOSTA DI LANZILLOTTA
La vicepresidente del Senato replica che il referendum a cui si riferisce Marroni non c’entra nulla: “Se sono state fatte in passato azioni ideologiche, non c’è motivo per proseguire su quella linea. In base al diritto comunitario a UNA società pubblica si applica controllo pubblico: in questo caso il pubblico rimane, per cui invocare la privatizzazione dell’acqua in questo caso è solo uno slogan senza fondamento reale”.

twitter@FDepalo

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