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Tra Renzi e Letta non mettere… la Web tax. Il nuovo terreno di scontro tra l’arrembante neo segretario del Pd e il compassato presidente del Consiglio, da tempo sotto il “fuoco amico” dello scalpitante sindaco di Firenze, è l’emendamento alla legge di stabilità che prevede che i giganti del Web – Google, Facebook, Apple e Amazon per citarne alcuni – dovranno avere partita Iva italiana, pagando in questo modo le tasse in Italia in proporzione al fatturato generato nel Paese.

IL TWEET DI RENZI
Con un cinguettio su Twitter, Matteo Renzi ha chiesto al governo Letta e in prima persona al presidente del Consiglio “di eliminare ogni riferimento alla web tax e porre il tema dopo una riflessione sistematica nel semestre europeo“, rafforzando le perplessità già espresse nei giorni scorsi. Una tesi che fa il paio con le critiche dei giorni scorsi degli ambienti americani (Camera di Commercio americana in Italia, la rivista Forbes), da quelli liberisti (Istituto Bruno Leoni) e da Beppe Grillo, convinti che sia illegale, che vada in contrasto che le norme europee, aumenti il gap tecnologico nei confronti delle altre economie avanzate e allontani ulteriori investimenti dal Paese.

LA RABBIA DI BOCCIA
Posizione che si contrappone in modo netto a quella espressa dal volto politico di questo balzello, Francesco Boccia, deputato democratico e presidente della Commissione Bilancio, vicino a Letta.
In un commento pubblicato oggi sul Sole 24 Ore, Boccia si chiede polemicamente se sia “eretico chiedere di pagare le tasse in Italia a chi guadagna in Italia”, spiegando come oltre al danno economico ci sia anche la beffa che “le nostre aziende che operano online si trovano di fronte soggetti cui è consentito di fare profitti non tassati” e godere così di una concorrenza sleale. Considerazioni condivise da Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo editoriale L’Espresso, da tempo a favore dell’iniziativa, che in una puntata di Mix 24 di Giovanni Minoli su Radio 24 ha criticato Renzi, dicendo che crede che “sulla web tax sia stato mal consigliato“. Rinviare il problema e dire “risolviamolo in Europa” – ha aggiunto – “mi sembra un po’ buttare la palla in tribuna, ecco“.

LE MODIFICHE AL TESTO
Ad ogni modo, nella notte il testo del provvedimento è stato modificato dalla commissione Bilancio della Camera, presieduta da Boccia.
L’obbligo di partita IVA italiana è stato rimosso per le aziende estere di e-commerce, mentre rimane per chi compra e vende pubblicità da mostrare online in Italia.

I NUMERI DELLA CONTESA
La norma, nata per combattere il fenomeno dell’elusione fiscale dei big dela Rete, si sta trasformando in un referendum pro o contro il web. Ma il problema dei mancati introiti per lo Stato italiano – e non solo, visto che il tema è stato affrontato durante lo scorso G20 ed è da tempo sul tavolo di Bruxelles – c’è tutto, e non riguarda cifre trascurabili.
Sul quotidiano La Repubblica, un’inchiesta di Valentina Conte stima che nel 2012 Google Italy ha fatturato 52 milioni, versandone all’erario meno di 2 (1,8). Ma i ricavi del colosso di Mountain View nel mondo ammontano a circa 50 miliardi. Stesso copione per Facebook, che nel 2012 supera per la prima volta i 5 miliardi di fatturato nel mondo, ma la creatura di Mark Zuckerberg paga la miseria di 132 mila euro al fisco italiano. Nel 2012 Apple ha fatto profitti per oltre 40 miliardi, ma in Italia le controllate di Cupertino hanno versato solo 3 milioni, con gli Apple Store in perdita e creditori. Infine, mentre nel 2012 i ricavi di Amazon superavano i 20 miliardi, in Italia le due controllate della società statunitense pagavano al fisco, in tutto, 950 mila euro di imposte.

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