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Banca Etruria e Banca Marche. Gioie e dolori del localismo

Il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan dice che il sistema è solido. il crac delle quattro banchette, del resto, coinvolge appena l’un per cento dei depositi. Eppure l’economista Padoan capisce bene che le cose sono molto più complicate. Intanto c’è una questione di principio che non è salvare il risparmio (qualsiasi risparmio comunque impiegato) a tutti i costi come sostiene persino il Corriere della Sera, ma stabilire le responsabilità.

Di chi è colpa, del capitalismo, della globalizzazione, del liberismo, ovviamente selvaggio (di che cosa non è responsabile il liberismo selvaggio)? Quando un funzionario di banca confessa “eravamo costretti a farlo”, scarica sui suoi capi responsabilità sue. Sembra di sentire l’ignaro Adolf Eichmann descritto da Hannah Arendt che guarda i suoi giudici israeliani e, stupito, dice loro “io eseguivo gli ordini, ho fatto solo il mio dovere”. Naturalmente, la scala del male è infinitamente inferiore, tuttavia il principio di irresponsabilità resta lo stesso.

Il funzionario esegue quindi non è responsabile delle sue azioni, il risparmiatore è mal consigliato quindi non è responsabile delle sue scelte, la banca locale obbedisce al sistema, così fan tutte, grandi e piccole, quindi non ha nessuna responsabilità tanto più che c’è la crisi finanziaria mondiale. Questa catena di irresponsabili si estende a dismisura, tocca la Banca d’Italia e la Bce, il governo di Roma e Bruxelles, i risparmiatori e i contribuenti. Tutti gabbati, come il Falstaff di Verdi. Il sistema, dunque, non è poi così solido.

In attesa di capire chi ha gabbato chi, aspettando che qualche magistrato giustiziere della notte spicchi mandati di cattura eccellenti, ragioniamo su un altro aspetto che contrasta con l’affermazione tranquillizzante (dovuta, per carità) del ministro Padoan. La crisi delle quattro banche ha un potenziale che va al di là delle loro dimensioni, perché è l’ultimo episodio in ordine di tempo di un collasso che ha investito l’intero modello localistico, quello bancario (che ha già visto lo sconquasso del Monte dei Paschi o della Popolare di Vicenza), quello economico e quello sociale. La politica è anch’essa coinvolta, forse persino travolta, anche se viene dopo.

Matteo Renzi è figlio di quel localismo, anzi potremmo dire che con lui il capitalismo dei campanili si è fatto Stato, così come con Silvio Berlusconi si era fatto Stato il capitalismo dell’effimero. Due paradigmi che poco hanno a che fare con la concorrenza e il libero mercato. Il capitalismo dell’effimero produce sogni non merci e lo fa utilizzando privatamente uno spazio pubblico. Il localismo è il sistema basato su un consociativismo amicale, clientelare, in cui una mano lava l’altro e tutte e due lavano il viso. La banchetta più o meno cooperativa è la bacinella che raccoglie l’acqua del lavaggio.

Basta andare a Siena, non solo in città, ma in provincia per capire che cos’era il Montepaschi e toccare con mano le conseguenze del suo crac. Fra poco potrà accadere lo stesso ad Arezzo, con il fallimento della banca degli orafi. O a Pesaro dove ormai anche il mitico festival rossiniano sopravvive solo grazie a Mikhail Fridman uno dei maggiori finanzieri russi.

Nessun senso di rivalsa, nessun ben gli sta, sia chiaro, perché quel sistema locale, come ci ha raccontato per tanti anni Giuseppe De Rita, ha tenuto in piedi un’Italia dalla quale fuggivano le grandi famiglie del capitalismo, quelle storiche e quelle che avevano fatto fortuna con il miracolo postbellico. Che ci resta dunque se scompare anche il capitalismo dei campanili?

E’ un dilemma che va oltre la cronaca e riconduce alle debolezze di fondo del Paese. Si discute su come salvare un pugno di risparmiatori sprovveduti (speriamo che si salvino solo loro, non anche i furbetti, compresi quelli del quartierino) ma non si discute su come mettere in sicurezza il sistema bancario italiano che ha bisogno di capitali e cade nelle braccia di sceicchi filo Isis, oligarchi filo Putin e nuovi mandarini che il partito comunista cinese può far scomparire dalla sera alla mattina.

La verità è che l’economia italiana si trova a corto di capitali e di capitalisti come è accaduto in altre fasi della sua storia e sembra aver esaurito le risorse interne che in altri momenti avevano fornito il carburante. L’Italia non è povera, anche se nei sette anni di vacche magre si è impoverita, tuttavia non c’è nulla e nessuno in grado di mobilitare le energie ancora esistenti. Questo è compito del governo, anzi è il compito principe di ogni governo. Alla Leopolda non abbiamo sentito nulla del genere, ma forse eravamo distratti.

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