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Sequestro dei beni russi, cosa dimostra il caso Ariston. L’opinione di Pedrizzi

Sul tavolo ci sono alcune possibilità su come utilizzare i beni russi ma secondo la dottrina prevalente questi si possono sequestrare, ma non si possono confiscare, cioè sottrarre definitivamente, perché la Ue non ha titolo giuridico per la confisca. L’opinione di Riccardo Pedrizzi

“Il Consiglio europeo accoglie con favore i progressi compiuti in merito alle prospettive volte a destinare a beneficio dell’Ucraina le entrate straordinarie derivanti dai beni russi bloccati e chiede la loro rapida adozione”. Si parla, cioè, di proventi finanziari “straordinari”, che matureranno sugli strumenti finanziari dei russi e non si parla più come tempo fa di “capitali sequestrati”. Si ipotizzano poi che siano solo 3 miliardi annui di proventi e non più 191 miliardi di euro quelli sequestrati alla Banca Centrale russa e detenuti all’estero solo presso il deposito centrale belga Euroclear.

Invece solo 5 mesi fa, il 26 ottobre 2023, lo stesso Consiglio aveva rilevato che “sono necessari progressi decisivi, in coordinamento con i partner, sulle modalità con cui le eventuali entrate straordinarie detenute da entità private derivanti direttamente dai bene bloccati della Russia potrebbero essere destinate al sostegno dell’Ucraina e della sua ripresa e ricostruzione […]. Il Consiglio europeo invita l’Alto rappresentante e la Commissione ad accelerare i lavori al fine di presentare proposte”.

Sul tappeto vi sono oltretutto diverse proposte tra queste, quella degli Usa che non vorrebbero trasferire questi proventi direttamente al governo ucraino, ma usarli come garanzia per emettere bond con una leva finanziaria fino a 5/6 volte, raccogliendo sui mercati 15/20 miliardi da prestare a Kyiv.

I dubbi però non mancano, sopratutto da parte della Germania. Ed anche Christine Lagarde, la presidente della Banca Centrale Europea, ritiene che l’ipotesi della confisca “scardinerebbe lo stato di diritto con conseguenze imprevedibili”. “Voi parlate di 6 miliardi di dollari, da questa parte ne abbiamo 260. Vedo una lieve differenza (…) Gli Usa dall’alto del ruolo del dollaro come moneta dominante negli scambi mondiali potrebbero anche permettersi di violare le regole, cosa ben più difficile per l’Europa”, per cui, “è escluso l’impiego di questi fondi per finanziare lo sforzo militare di Kyiv”.

Ma vediamo di cosa stiamo parlando? Secondo stime non ufficiali, sarebbero almeno 300 miliardi i beni di proprietà della Banca centrale russa, congelati da Usa ed Unione europea e potrebbero essere sequestrati solo qualche miliardo di euro sui profitti realizzati da Euroclear, istituto di compensazione, dall’investimento dei contanti sui 130 miliardi di dollari Usa della Banca centrale russa congelati.

Si tratterebbe evidentemente di una risposta alla violazione del diritto internazionale da parte di Putin per la guerra contro l’Ucraina, alla quale si risponderebbe con un’altra violazione, cioè con la confisca dei beni russi, calpestando, anche in questo caso, il diritto internazionale che prevede invece l’immunità sovrana dei beni di uno Stato. Sta di fatto che Usa ed Ue non sono in guerra con la Russia. Per questo motivo la Bce starebbe valutando attentamente i rischi e le conseguenze dell’operazione, perché con la violazione del diritto internazionale, ne deriverebbero notevoli danni reputazionali per il sistema dei pagamenti europeo e si assesterebbe un duro colpo alla credibilità dell’euro. Infatti secondo la dottrina prevalente quei beni russi si possono sequestrare, ma non si possono confiscare, cioè sottrarre definitivamente ai russi, perché la Ue non ha titolo giuridico per la confisca. Innanzitutto perché la confisca deve essere eseguita dai singoli Stati presso cui sono depositate le riserve e poi perché la violazione del diritto internazionale non autorizza un’altra violazione per reazione.

Per accelerare i tempi attualmente comunque si è aperta già una raccolta delle richieste di indennizzo dei danni alla Russia da parte dei singoli cittadini ucraini e di imprese che puntano ad arrivare alla confisca delle riserve sovrane per varie centinaia di miliardi di dollari. Milioni di persone potranno avanzare richieste di indennizzo per danni da parte della Federazione russa presso un ufficio dell’Aia, dove si stanno raccogliento le domande. Le richieste supereranno quasi sicuramente i 486 miliardi di dollari e potrebbero arrivare a una cifra che sarà fra i 750 e i mille miliardi di dollari. Oltre 300 miliardi di euro sono già congelati dal 2022 in gran parte in Europa, alcune decine di miliardi in Giappone e soli 5 miliardi negli Stati Uniti, che da mesi stanno spingendo sui governi europei perché decidano la confisca dei fondi russi, in modo da passarli all’Ucraina. I governi occidentali dal loro canto, anticipando le riparazioni dovute all’Ucraina, contro la garanzia di Kyiv sulla quale i singoli Paesi potrebbero rivalersi con un meccanismo di compensazione.

Sta di fatto che Biden ed il governo britannico, propongono invece di convertire in armi ed aiuti il denaro e i beni sequestrati, in applicazione delle sanzioni imposte all’aggressore, per cui insistono e fanno pressione sui partner europei perché condividano e partecipino all’iniziativa. Si tratta però di beni appartenenti a privati che hanno stipulato contratti con banche ed istituti finanziari secondo le consuetudini e modalità che regolano attività commerciali internazionali.

La soluzione proposta e che vorrebbero imporre Usa e Regno Unito determinerebbe vere e proprie confische con caratteristiche definitive che non sono consentite nei confronti di soggetti privati nemmeno in guerra e nei territori occupati, e che sono a maggior ragione vietate quando il Paese che opererebbe il sequestro non è in stato di guerra.

A meno che non si voglia rischiare che il sequestro venga valutato come implicita dichiarazione di guerra, o quantomeno come atto ostile che possa determinare rappresaglie da parte della Russia, che di fronte a questa prospettiva, ancora una volta è partita prima con il “trasferimento temporaneo della gestione” della Ariston alla russa Gazprom Domestic System, giustificato come “una risposta alle azioni ostili” dell’Italia e delle sue “avventure geopolitiche antirusse”.

Siamo dunque ad una vera e propria economia di guerra e, come giustamente sottolinea il prof. Giulio Sapelli, “si tratta di lacerare indefinitamente ogni possibilità di trattativa con la Russia imperiale espropriandone le risorse. Rimarrebbe solo la guerra, mentre… fermare la guerra è possibile purché non si instauri un gioco a somma zero dove non c’è trattativa possibile. Anche con gli aggressori si può e si deve trattare. Ma espropriarne le risorse implica creare le condizioni non solo per continuare la guerra, ma per aumentarne la pericolosità e l’intensità”.

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