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Crimea e Gaza sono i talloni d’Achille di Putin e Biden. L’analisi di D’Anna

Le prospettive delle due più gravi situazioni di crisi, in Ucraina e Medio Oriente, al centro degli incontri fra i leader occidentali alle celebrazioni per l’anniversario dello sbarco in Francia degli alleati che segnò la svolta della Seconda guerra mondiale. L’analisi di Gianfranco D’Anna

“No military, need strategic weapons” nessun soldato per Kyiv, ma più armamenti strategici, dice Joe Biden ad Emmanuel Macron nel vertice all’Eliseo dei due Presidenti dopo le celebrazioni dell’anniversario dello sbarco alleato in Normandia.

Un 80esimo del D-day trasformato in un nuovo grido di battaglia a sostegno dell’Ucraina e per sconfiggere Putin, definito dal Presidente americano come un “tiranno intenzionato a dominare… Un personaggio che non è affatto una persona perbene. Arrendersi ai prepotenti, ai dittatori, è semplicemente impensabile”, ha aggiunto Biden.

Macron ha risposto all’invito sugli armamenti strategici annunciando l’invio all’Ucraina dei jet Mirage, i modernissimi caccia multiruolo quasi equivalenti agli F-16 americani, e di istruttori militari per addestrare le truppe.

Sulle prime linee fra Karkiv e il Donetsk si continua intanto a morire su entrami i fronti. Le forze russe stanno concentrando nelle ultime ore la loro principale potenza di fuoco sul settore Avdiivka-Pokrovsk a nord e a ovest della città di Donetsk, mentre cresce l’impatto dell’utilizzazione da parte ucraina dei missili balistici Atacms , con una gittata di 300 km, che consentono di colpire tutti gli snodi dei rifornimenti e dei depositi dell’armata di Mosca dislocati in profondità oltre il confine russo.

Il settimanale inglese The Economist riporta l’analisi del generale Ben Hodges, ex comandante delle forze americane in Europa e consigliere senior della Nato, secondo il quale gli ucraini sarebbero già in grado di neutralizzare la presenza militare russa in Crimea.

È un notevole vantaggio scrive The Economist, che cita anche il punto della situazione prospettato da sir Lawrence Freedman, un esperto di strategie militari britannico, per il quale “la Crimea è un punto debole per la Russia. Ha troppo da difendere, ed è il modo migliore per l’Ucraina di esercitare una reale pressione su Putin al fine di ottenere concessioni in futuro”.
Si dice d’accordo, sullo stesso settimanale, anche Nico Lange, ex consigliere del ministero della Difesa tedesco: “La campagna dell’Ucraina contro la Crimea – afferma – è un misto di strategia militare e politica. Politicamente, é la risorsa più vitale della Russia, ma è anche molto vulnerabile”.

L’obiettivo degli attacchi concentrici contro la Crimea è quello di strangolarla come hub logistico, di isolarla e di allontanare le forze aeree e navali dall’Ucraina meridionale. Per ottenere questo risultato le forze armate ucraine hanno sfruttato le capacità dei missili da crociera Storm Shadow e Scalp forniti da Gran Bretagna e Francia e dei propri droni marittimi fatti in casa, abilmente progettati, per colpire le navi da guerra russe, in particolare le grandi navi da sbarco Ropucha utilizzate come trasporti militari, la maggior parte delle quali sono state distrutte.

I droni e i missili ucraini hanno finora messo fuori combattimento circa la metà della temibile flotta moscovita del Mar Nero. Costringendola a trasferirsi da Sebastopoli al porto di Novorossiysk, a oltre 300 km di distanza sulla terraferma russa. Base aeronavale che viene sistematicamente presa di mira e attaccata. Per bloccare l’offensiva russa, un’offensiva costata decine di migliaia di soldati mandati allo sbaraglio e uccisi, l’Ucraina sta ora utilizzando una micidiale combinazione di missili Atacms, Himars e droni sempre più sofisticati per colpire sistematicamente le difese aeree russe in Crimea, distruggere le basi aeree da cui volano gli intercettori russi e neutralizzare obiettivi logistici e energetici. Un martellamento che sarà definitivamente completato dall’imminente entrata in azione dei primi caccia F-16 forniti dai paesi europei.

Per Kyiv ora l’emergenza si è spostata sulla scarsità delle truppe. Per le strade dell’Ucraina sono comparse pattuglie che controllano i documenti dei cittadini e distribuiscono convocazioni d’arruolamento obbligatorio. A maggio è entrata in vigore la nuova legge che impone a ogni uomo di età compresa tra i 25 ei 60 anni di registrare i propri dati presso le autorità militari per un’eventuale chiamata alle armi.

Dal ritrovato ottimismo per la tenuta difensiva dell’Ucraina, nei vertici seguiti alle celebrazioni dello sbarco in Normandia, i leader occidentali sono passati all’analisi preoccupata della situazione in Medio oriente, dove si stanno accentuando gli scontri e i bombardamenti anche al confine libanese mentre in Yamen le milizie Houthi hanno arrestato 9 componenti della missione Onu impegnati nell’assistenza umanitaria.

“A Gaza abbiamo normalizzato l’orrore”, denuncia un funzionario delle Nazioni Unite. Hamas infatti continua ad utilizzare la popolazione palestinese come scudi umani per difendersi dagli attacchi delle forze di difesa d’Israele che avanzano verso il centro di Rafah.

Per interessi contrapposti il gruppo terroristico islamico che punta anche al riconoscimento ufficiale internazionale e il Premier israeliano Netanyahu, il cui governo si regge sull’emergenza bellica, continuano a rifiutare accordi di tregua e di scambi di ostaggi e prigionieri.

Egiziani, Emirati arabi, Stati Uniti e Turchia continuano a tenere i contatti con Hamas e israeliani, ma le trattative procedono a singhiozzo fra attacchi e massacri, con i fondamentalisti islamici spalleggiati dall’Iran che alzano continuamente le richieste, offrendo a Israele l’alibi per continuare ad attaccare.

Uno scenario d’apocalisse umanitaria che sta profondamente scuotendo l’opinione pubblica mondiale ed evidenzia tutta la tragica impotenza e il fallimento delle Nazioni Unite. Ma che mette a nudo anche l’incapacità dell’amministrazione Biden di tenere a bada il cinismo e la spregiudicatezza di Netanyahu. Un premier incurante dei gravissimi contraccolpi internazionali che sta provocando alla credibilità delle ragioni storiche e delle profonde motivazioni esistenziali del popolo d’Israele.

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