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Venezuela ancora in mano a Maduro. Perché non è una buona notizia per il mondo

La vittoria di Maduro lascia “molte perplessità” e da essa, dice il ministro Tajani, emerge una certezza: Caracas sarà più allineata con il “deadly quartet” (Cina, Russia, Corea del Nord, Iran)

Mentre lo scrutinio del voto di domenica 28 luglio, con ogni probabilità falsato dal regime, era ancora in corso, Nicolas Maduro dichiarava la vittoria alle elezioni “farsa” (per dirla come il senatore repubblicano statunitense Marco Rubio) che riconsegnano il Venezuela nelle sue mani. Con gli sgherri dell’erede di Hugo Chavez già in strada per controllare, o meglio dire soffocare, eventuali proteste da parte dell’opposizione — che aveva trovato in Edmundo González una speranza d’espressione giustificata anche dai sondaggi indipendenti che lo davano venti punti avanti — la nuova vittoria di Maduro è una pessima notizia, sia per la popolazione venezuelana (il suo regime opprimente ha coinciso con il peggioramento di tutti o parametri macroeconomici del Paese) sia per le relazioni internazionali.

La riconferma di Maduro — su cui il ministro degli Esteri Antonio Tajani esprime subito “molte perplessità” — consolida il ruolo di Caracas su un lato dello scacchiere internazionale, con le sue prime parole sono già programmatiche. “Non hanno potuto con le sanzioni, con le aggressioni, con le minacce, non hanno potuto ora e non potranno mai con la dignità del popolo del  Venezuela”, ha detto annunciando la vittoria dal Palazzo di Miraflores. Ma quello del venezuelano non è solo la classica querimonia con cui i dittatori rivendicano successi contro i loro nemici, e dunque del popolo. Quando dice che “non hanno potuto con le sanzioni” usa una scelta semantica esatta che inquadra (ce ne fosse bisogno) il Paese nell’asse dei revisionisti che contesta l’ordine internazionale basato sulle regole — matrice di quelle sanzioni, causa violazioni anti-democratiche. È quel mondo guidato a livello ideologico dalla Cina e dalla Russia, che contesta in modo formale (ma a uso narrativo più che altro) le sanzioni, come ha ricordato lo stesso capo della diplomazia del Partito/Stato, Wang Yi, nell’incontro dei giorni scorsi con il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken.

E lo stesso Blinken, da Tokyo (ospite dell’organizzazione nipponica della ministeriale del Quad), annuncia che gli Stati Uniti hanno “serie preoccupazioni che il risultato annunciato non rifletta la volontà o i voti del popolo venezuelano”. La dicotomia tra i pro e i contro è plasticamente rappresentata dalla rapidità con cui il Cile di Gabriel Boric (“un mix inusual de izquierda atlantista”) abbia bruciato Cuba nell’annunciare di non riconoscere i risultati finché il processo di scrutinio e verbalizzazione non sarà messo a disposizione per verifiche terze (cioè mai, ma è lo stessa richiesta di Blinken), mentre L’Havana — dove è in costruzione una base per ospitare assetti militari cinesi, creando suggestioni nell’immaginario storico — si è congratulata per il “grande” successo di Maduro.

“Il dovere delle Forze Armate è quello di garantire il rispetto della sovranità popolare espressa dal voto. Questo è ciò che noi venezuelani ci aspettiamo dai nostri militari”, ha detto Maria Corina Machado, la leader emozionale della Piattaforma unitaria democratica d’opposizione, guidata ad interim da Gonzalez solo perché una condanna molto discussa non permette a lei di candidarsi. Ma non è affatto detto che questo invito (diciamo così) si traduca in una rapida deposizione del leader — esperienze recenti come quella di Juan Guaidó insegnano che al di là degli entusiasmi il regime ha controlli e incrostazioni che ancora lo tengono vivo, nonostante ormai all’undicesimo anno di governo Maduro sta attraversando una catastrofica crisi di consenso. Sebbene siano i venezuelani a soffrire della situazione (il calo dei consensi è proporzionale al depauperamento delle condizioni di vita) gli effetti della riconferma al potere del satrapo è problematica per gli affari internazionali. Il Venezuela non è un Paese qualunque, custodisce riserve petrolifere enormi (per ora sfruttate solo in parte perché mancano le tecnologie di cui le sanzioni bloccano l’arrivo) ed anche per questo corteggiato da quello che viene chiamato “deadly quarter”, che allinea Cina, Russia, Iran e Corea del Nord — compattati in qualche modo dall’interesse, di vario genere, di ribaltare l’ordine e il potere occidentale.

Per dire, l’interesse in particolare di Caracas nel contrastare le sanzioni internazionali e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti e dai loro alleati — necessario per sollevare l’economia e dunque permettere a Maduro una boccata d’ossigeno nel consenso — ha portato Caracas ad approfondire i rapporti con l’Iran. Negli ultimi anni, i due Paesi hanno firmato numerosi accordi di cooperazione in vari settori, tra cui energia, commercio, industria, cultura e ricerca scientifica. Nel 2022, durante una visita di Maduro a Teheran, è stato siglato un accordo ventennale per rafforzare ulteriormente i legami economici e politici tra i due paesi. Tra i progetti recenti, l’Iran sta aiutando il Venezuela a migliorare le sue raffinerie di petrolio e ha fornito milioni di componenti per la raffinazione. Inoltre, sono stati stabiliti voli diretti tra Caracas e Teheran, e si prevede un aumento delle frequenze per facilitare il trasporto di merci.

Se questa è già una sfida la relazione con la Russia, specialmente in ambito militare e tecnologico, ne amplifica il valore. Negli ultimi anni, Mosca ha fornito supporto militare significativo al governo di Maduro, inclusi addestramento e attrezzature — ha fatto molto rumore una recente visita di assetti navali russi. I due Paesi collaborano anche nel settore energetico. Rosneft, compagnia petrolifera statele russa, è un partner chiave per la produzione di petrolio in Venezuela.

Anche la Cina è ormai da tempo tra i principali alleati economici del Venezuela. Dagli ultimi cinque anni, Pechino ha aumentato i suoi investimenti nel Paese, specialmente nelle infrastrutture e nel settore energetico. Le due nazioni hanno firmato vari accordi per migliorare i trasporti e potenziare la capacità produttiva di petrolio del Venezuela. La Cina ha anche fornito aiuti umanitari e tecnici per affrontare le crisi economiche e sanitarie in Venezuela

Infine, il rapporto con Corea del Nord, meno pubblicizzato ma comunque significativo. Pyongyang ha espresso sostegno politico al governo di Maduro, mentre il Venezuela ha spesso difeso il Nord nelle sedi internazionali. Questa cooperazione si estende anche a settori come la tecnologia e la difesa come parte della strategia con cui Caracas rafforza i suoi legami con un mondo di cui condivide visione ideologica, narrazioni e interessi.

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