La Banca popolare dell’Etruria e del Lazio ha avuto un’attenzione tutta particolare da parte di Matteo Renzi e dei renziani? E’ la domanda che circola nei palazzi della politica, dell’economia e della finanza. L’interrogativo è iniziato a diffondersi in particolare dopo alcuni sms di cui ha dato conto mesi fa. Andiamo con ordine.
QUEGLI SMS VELENOSI A DE BORTOLI
Un primo assaggio dell’affetto provato dal premier Renzi per l’Etruria è stato raccontato da Formiche.net lo scorso maggio, in occasione di alcuni articoli del Corriere della Sera, dedicati alla scarsa salute dell’istituto aretino. Articoli, che tra le altre cose, adombravano intrecci politico-economici della banca aretina, facendo in conti in tasca all’istituto vicepresieduto per otto mesi, nel 2014, da Pier Luigi Boschi, papà dell’attuale ministro per le Riforme. Ebbene, dal cellulare di Renzi sarebbero partiti messaggi al veleno all’indirizzo dell’allora direttore del Corsera, Ferruccio de Bortoli. Forse per esprimere un certo disappunto per il “trattamento” ricevuto dall’Etruria sul quotidiano, che voleva fare le pulci ai bilanci e svelarne i buchi? Ma c’è di più, molto di più, nella quantomeno opaca vicenda di Banca Etruria.
IL GIALLO DELLA TRASFORMAZIONE IN SPA
L’altro cono d’ombra stavolta riguarda la trasformazione in spa di dieci popolari, approvata dal governo nel Consiglio dei ministri del 20 gennaio scorso. Ebbene, è vero che Banca Etruria era ricompresa nella lista degli istituti destinati a cambiare pelle, ma è anche vero che al momento del varo del decreto, poi convertito in legge a marzo, la popolare aretina tutto aveva fuorchè i requisiti necessari per beneficiare della riforma. Il governo, infatti, aveva previsto tra i vari parametri della riforma, una soglia di 8 miliardi di attivi per ciascun istituto. Peccato che, come descritto da Libero, al momento del varo, l’Etruria fosse praticamente in coma, con un perdita di quasi 500 milioni accumulata negli ultimi 3 mesi del 2014. Circa 400 milioni, invece, il rosso emerso dal preconsuntivo 2014 della Popolare. Possibile, dunque, che i paletti per trasformarsi in spa fissati dal governo valessero per nove popolari su dieci mentre l’Etruria ne era esente? Il sospetto è che l’inserimento nella lista degli istituti da trasformare della banca aretina (diventata peraltro spa dall’oggi al domani e senza assemblea) nonostante l’assenza di requisiti, sia servita più che altro a distogliere l’attenzione dai bilanci disastrati dell’istituto. Ma è, per l’appunto, solo un sospetto, o forse solo una supposizione. Di sicuro non pochi hanno gioito per il decreto del governo Renzi. Scriveva subito dopo il provvedimento dell’esecutivo l’economista Salvatore Bragantini sulla rivista della Popolare dell’Etruria: “La decisione presa dal consiglio di amministrazione di Banca Etruria (di trasformarsi in spa, ndr) è l’unica che consentirà di continuare, pur se in una diversa veste societaria e in un mondo enormemente mutato, l’opera sul territorio iniziata nel lontano 1882″.
UN (MOLTO SOSPETTO) BOOM IN BORSA
Ma il romanzo dell’Etruria non finisce certo qui. Perché nella lunga storia che va dalla crisi patrimoniale dell’istituto al suo salvataggio, passando per il commissariamento (febbraio 2015) e la trasformazione lampo in spa (senza assemblea) nel novembre 2015, c’è un altro buco nero. Ovvero il rialzo monstre a Piazza Affari (+67%), accumulato dalla banca aretina a ridosso del varo della riforma, e su cui la Consob ha acceso un faro nel mese di febbraio. Ora, è vero che già nei giorni precedenti al decreto circolavano voci circa l’imminente intervento del governo, spingendo i titoli delle popolari, ma la domanda è una, anzi più d’una. Possibile infiammare il listino comprando a man bassa titoli di una banca con mezzo miliardo di perdita e ormai barcollante? Forse, gli investitori non conoscevano i veri conti della banca, illudendosi che fosse in realtà sana? O, forse, c’è una seconda spiegazione?
UN ACQUIRENTE FANTASMA PER L’ETRURIA?
E se invece, dietro la speculazione, ci fosse stato un anonimo acquirente, pronto a infiammare il titolo per poi scalare la banca? Un’ipotesi balenata nella mente anche del presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che in occasione di un’audizione dell’11 febbraio 2015, commentò un po’ sibillino il rialzo anomalo, i cui ordini d’acquisto sarebbero partiti da Londra: “O qualcuno ha speculato in anticipo sull’arrivo del decreto, oppure il mercato ha premiato tra le popolari, la banca che più di tutte farà da preda, viste le condizioni del suo bilancio”. Tradotto, qualcuno o stava per azioni per poi accaparrarsi l’Etruria? Davide Serra, finanziere molto vicino a Renzi, fondatore e capo del fondo Algebris, residente da 18 anni a Londra, in più di un’occasione ammise il suo interesse per le popolari salvo poi smentire il tutto, fino ad arrivare a querelare il Movimento 5 Stelle che aveva insinuato un ruolo di Serra dietro il boom del titolo.
QUELLE SIRENE ISRAELIANE
Eppure, l’appeal del finanziere renziano non ha fatto breccia solo nella City, ma anche in Israele. Perchè? Come ha spiegato qualche mese un articolo del Giornale, poco prima che l’Etruria venisse commissariata, l’11 febbraio del 2015, pare che Serra si sia dato un bel da fare per salvare l’istituto aretino dalla gestione straordinaria. Mettendo sul piatto, per mezzo del suo fondo, Algebris, mezzo miliardo di euro insieme alla Hapoalim Bank, uno dei principali istituti israeliani, che vanta tra gli azionisti di maggioranza quel Micky Arison ex socio forte della Carnival. Nel dettaglio, la banca israeliana avrebbe puntato l’Etruria già dall’estate del 2014, mirando ad aggiudicarsi in particolar modo il business dell’oro, settore nel quale l’istituto toscano opera attraverso la controllata Oro Italia Trading, leader dell’intermediazione di metalli preziosi. A mettere sulle tracce dell’Etruria gli israeliani, riportava ancora l’articolo, sarebbe stato Marco Carrai, altra fedelissimo di Renzi. L’operazione, in ogni caso, deve essere fallita visto che alla fine le redini dell’istituto sono passate ai commissari della Banca d’Italia.
QUEL NO ALLE NOZZE CON VICENZA (CHE LA BOSCHI DIFENDE)
Poi ci sono almeno altre due questioni degne di nota, nonostante manchino, anche in questo caso, le risposte. Banca Etruria ha almeno avuto una volta, se non due, l’occasione di essere venduta. La prima, nel giugno del 2014, quando la Popolare di Vicenza lanciò il suo assalto alla banca aretina, annunciando l’Opa. Offerta prontamente respinta al mittente da quel cda in cui figurava Pier Luigi Boschi, padre del ministro, nonostante l’avvio di una due diligence tra i due istituti. Una questione su cui si è tornata ieri in un’intervista al Corriere, proprio il ministro Maria Elena Boschi, che ha colto anche l’occasione per rifilare una bella stilettata agli allora supporters dell’aggregazione con la popolare vicentina, Bankitalia in primis. Rispondendo a una domanda sulle critiche al decreto salva-banche Boschi ha spiegato che “se la cosa non fosse così seria, mi farebbe anche sorridere il fatto che alcuni autorevoli esponenti oggi prendano determinate posizioni, pur sapendo che sono le stesse persone che un anno fa suggerivano a Banca Etruria un’operazione di aggregazione con la Banca Popolare di Vicenza: se fosse stata fatta quell’operazione credo che oggi avrebbero avuto un danno enorme i correntisti veneti e quelli toscani”. Fin qui il dossier Popolare di Vicenza, stroncato in un battito di ciglia. E poi, c’è la questione del compratore fantasma vacheggiato da Vegas e anche da Susanna Camusso, leader Cgil, che il 30 gennaio 2015, aveva indirettamente tirato in ballo lo stesso Serra, accusandolo di aver speculato sulla banca a decreto ancora in gestazione.
L’ULTIMO (PER ORA) ATTO, LO SCUDO LEGALE CONTRO GLI EX MANAGER
L’ultimo atto del romanzo aretino si chiama scudo legale per gli ex amministratori che hanno portato la banca al collasso. L’arcano, svelato definitivamente da Formiche.net, mette in buona sostanza al riparo dalle azioni legali promosse dai risparmiatori rimasti a secco dopo il salva banche, gli ex manager delle 4 banche salvate, tra cui lo stesso Pier Luigi Boschi, ex viccepresidente dell’Etruria. E questo in virtù del fatto che, come prevede il decreto salva banche (varato in fretta e furia dopo il poco chiaro no dell’Ue all’intervento del Fitd) l’azione di rivalsa spetta ai commissari, sentito il comitato di sorveglianza, previa autorizzazione della Banca d’Italia. Ma non al singolo risparmiatore.
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